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L’ascesa dei Draghi
Morgan Rice


Re e Stregoni #1
Se pensavate che non ci fosse altra ragione di vita dopo la fine della serie L’Anello dello stregone, vi sbagliavate. In L’ASCESA DEI DRAGHI Morgan Rice ha raggiunto ciò che promette di essere un’altra saga brillante, immergendoci in un mondo fantasy fatto di troll e draghi, pregno di valore, coraggio, magia e fede nel destino. Morgan è riuscita un’altra volta a produrre un forte gruppo di personaggi che ci fanno tifare per loro pagina dopo pagina… Fortemente consigliato per la libreria permanente di tutti quei lettori che amano storie fantasy ben scritte. Books and Movie Reviews, Roberto MattosIl Bestseller numero #1! Dall’autrice campione d’incassi #1 Morgan Rice giunge una meravigliosa nuova saga epica fantasy: L’ASCESA DEI DRAGHI (RE E STREGONI – Libro 1) . Kyra, 15, sogna di diventare una famosa guerriera come suo padre, anche se è l’unica ragazza in un forte pieno di maschi. Mentre lotta per capire le sue doti speciali, il suo misterioso potere nascosto, si rende coto di essere diversa dagli altri. Ma c’è un segreto che le viene tenuto nascosto riguardo alla sua nascita, oltre a una profezia che la riguarda e che la lascia piena di domande riguardo alla sua vera identità. Quando Kyra raggiunge l’età e il lord locale viene a prenderla per portarla via, suo padre vorrebbe farle sposare qualcuno per salvarla. Ma Kyra rifiuta e parte da sola in viaggio inoltrandosi in un pericoloso Bosco dove incontra un drago ferito. Da questo punto si innesca una serie di eventi che cambieranno le sorti del regno per sempre. Il quindicenne Alec nel frattempo si sacrifica per suo fratello prendendo il suo posto tra le reclute e viene trasportato a Le Fiamme, un muro di fuoco altro trenta metri che tiene alla larga l’esercito di troll dell’est. ai confini del regno Merk, un mercenario che desidera lasciare il suo oscuro passato, è in cammino nel bosco per diventare un Sorvegliante delle Torri e aiutare a sorvegliare la Spada di Fuoco, la magica fonte del potere del regno. Ma anche i troll vogliono la spada e preparano un’invasione di massa che potrebbe distruggere il regno per sempre. Con una forte atmosfera e personaggi complessi, L’ASCESA DEI DRAGHI è una meravigliosa saga di cavalieri e guerrieri, re e lord, onore e valore, magia, destino, mostri e draghi. È una storia di amore e cuori infranti, di sotterfugi, ambizione e tradimenti. È un fantasy al massimo dei risultati, che ci invita in un mondo che vivrà con noi per sempre, un mondo che affascinerà lettori di ogni età e genere. Il libro #2 di RE E GUERRIERI è di prossima pubblicazione. L’ASCESA DEI DRAGHI ha successo – già dall’inizio – … Un fantasy superiore… Inizia, come è gusto, con la lotta e le mosse di una protagonista ben inserita nell’ampia cerchia di cavalieri, draghi, magia, mostri e destino… Tutti i dettagli di un fantasy di alto livello sono qui, dai soldati e le battaglie ai confronti con se stesso… Un testo raccomandato a chi ama il fantasy epico pieno di protagonisti giovani, potenti e credibili. Midwest Book Review, D. Donovan, eBook Reviewer





Morgan Rice

L’ASCESA DEI DRAGHI RE E STREGONI—LIBRO 1




Chi ГЁ Morgan Rice

Morgan Rice è autrice numero uno e oggi autrice statunitense campione d’incassi delle serie epiche fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende diciassette libri, della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO, che comprende undici libri (e che continuerà a pubblicarne altri); della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende due libri (e che continuerà a pubblicarne); e della nuova serie epica fantasy RE E STREGONI. I libri di Morgan sono disponibili in formato stampa e audio e sono tradotti in 25 lingue.

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Cosa dicono di Morgan Rice

“Un meraviglioso fantasy nel quale si intrecciano elementi di mistero e intrigo. Un’impresa da eroi parla della presa di coraggio e della realizzazione di uno scopo di vita che porta alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per quelli che cercano corpose avventure fantasy: qui i protagonisti, gli stratagemmi e l’azione forniscono un vigoroso insieme di incontri che ben si concentrano sull’evoluzione di Thor da ragazzino sognatore e giovane che affronta l’impossibile pur di sopravvivere… Solo l’inizio di ciò che promette di essere una serie epica per ragazzi.”

Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)



“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”

Books and Movie Reviews, Roberto Mattos



“L’intrigante serie epica fantasy della Rice [L’ANELLO DELLO STREGONE] contiene tratti classici del genere: un’ambientazione forte – profondamente ispirata dall’antica Scozia e alla sua storia – e un buon senso dell’intrigo di corte.”

–KirkusReviews



“Mi è piaciuto un sacco il modo in cui Morgan Rice ha costruito il personaggio di Thor e il mondo in cui vive. Il paesaggio e le creature che lo popolano sono ben descritti… Mi sono goduto la trama, breve e dolce… Ci sono la giusta quantità di personaggi secondari, così non c’è il pericolo di confondersi. Pullula di avventure e momenti tormentosi, ma l’azione presentata non appare mai grottesca. È un libro adatto a lettori adolescenti… L’inizio di qualcosa di notevole…”

--San Francisco Book Review



“In questo primo libro pieno zeppo d’azione della serie epica fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), la Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin “Thor” McLeod, il cui sogno è quello di far parte della Legione d’Argento, i migliori cavalieri al servizio del re… Lo stile narrative della Rice è solido e le premesse sono intriganti.”

--PublishersWeekly



“[UN’IMPRESA DA EROI] è una lettura semplice e veloce. Le conclusioni di ogni capitolo sono ingegnate in modo da dover leggere ciò che accade successivamente, senza poter smettere. Nel testo ci sono alcuni refusi e a volte i nomi vengono confusi, ma questo non distrae dalla storia nel suo complesso. La conclusione del libro mi ha subito fatto venire voglia di prendere il seguente, e così ho fatto. Tutti i libri della serie L’Anello dello Stregone possono essere acquistati in formato Kindle e Un’Impresa da Eroi – per iniziare – è disponibile gratuitamente! Se state cercando qualcosa di veloce e leggero da leggere mentre siete in vacanza, questo è il libro perfetto per voi.”

--FantasyOnline.net



Libri di Morgan Rice




RE E STREGONI


L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)




L’ANELLO DELLO STREGONE


UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)


LA MARCIA DEI RE (Libro #2)


DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)


GRIDO D’ONORE (Libro #4)


VOTO DI GLORIA (Libro #5)


UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)


RITO DI SPADE (Libro #7)


CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)


UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)


UN MARE DI SCUDI (Libro #10)


REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)


LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)


LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)


GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)


SOGNO DA MORTALI (Libro #15)


GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)


IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)




LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA


ARENA UNO: SLAVERSUNNERS (Libro #1)


ARENA DUE (Libro #2)




APPUNTI DI UN VAMPIRO


TRAMUTATA (Libro #1)


AMATA (Libro #2)


TRADITA (Libro #3)


DESTINATA (Libro #4)


DESIDERATA (Libro #5)


PROMESSA (Libro #6)


VOWED (Libro #7)


FOUND (Libro #8)


RESURRECTED (Libro #9)


CRAVED (Libro #10)


FATED (Libro #11)








Copyright В© 2014 by Morgan Rice

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This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.

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“… Spetta agli uomini farsi padroni dei loro destini:
Non ГЁ colpa degli astri, caro Bruto,
Ma di noi stessi, se restiamo schiavi.”

В В В В --William Shakespeare
В В В В Giulio Cesare



CAPITOLO UNO


Kyra si trovava in cima al poggio erboso, il terreno gelato sotto gli stivali e la neve che le fioccava attorno. Cercava di ignorare la morsa del freddo mentre reggeva l’arco e mirava al suo bersaglio. Socchiuse gli occhi escludendo il resto del mondo – una folata di vento, il verso di un corvo in lontananza – e si sforzò di vedere solo la betulla scheletrica, distante e completamente bianca che si trovava in mezzo ai pini viola. A quaranta metri, quello era proprio il genere di tiro che i suoi fratelli non sarebbero mai riusciti a mandare a segno e che quindi la rendeva ancora più determinata, essendo la più giovane della famiglia e l’unica femmina.

Kyra non ci si era mai trovata bene. Una parte di lei avrebbe ovviamente desiderato fare ciò che si aspettavano da lei e trascorrere il tempo con le altre ragazze, dove era il suo posto, curandosi delle faccende domestiche. Ma dentro di sé non era fatta così. Era la figlia di suo padre, aveva uno spirito da guerriero come lui e non si sarebbe lasciata rinchiudere tra le mura di pietra della loro fortezza, non si sarebbe sottomessa a una vita che non le apparteneva. Lei era una tiratrice migliore di quegli uomini: in effetti sapeva già fare meglio dei migliori arcieri di suo padre, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per provare a tutti – soprattutto a suo padre – che meritava di essere presa sul serio. Suo padre la amava, lo sapeva, ma rifiutava di vederla per ciò che era.

Kyra portava avanti il suo allenamento lontano dal forte, lì tra le pianure di Volis, da sola, il che le si addiceva dato che lei, unica ragazza in un forte di guerrieri, aveva imparato da subito a stare da sola. Aveva preso l’abitudine di ritirarsi ogni giorno lì, in quel posto che era il suo preferito, in cima all’altopiano da dove vedeva le irregolari mura di pietra del forte, dove poteva trovare buoni alberi, alberi sottili e difficili da colpire. Il colpo delle frecce contro i tronchi era diventato un suono sempre presente e riecheggiante al di sopra del villaggio: non c’era albero lassù che fosse stato risparmiato dalle sue frecce; tutti i tronchi erano segnati e alcuni alberi addirittura piegati.

Kyra sapeva che la maggior parte degli arcieri di suo padre puntavano ai topi che girovagavano per i prati. Quando aveva iniziato, le prime volte aveva cercato di fare come loro e aveva scoperto di poterli uccidere facilmente. Ma non le piaceva. Era temeraria ma anche sensibile e uccidere un essere vivente senza alcun motivo non le piaceva. Aveva giurato che non avrebbe mai più mirato a una cosa viva, a meno che non fosse pericolosa o l’avesse attaccata, come i pipistrelli lupo che venivano fuori di notte e volavano troppo vicini al forte di suo padre. Non aveva alcuna preoccupazione a colpire quegli esseri, soprattutto dopo che suo fratello più giovane, Aidan, era stato morso da un pipistrello lupo ed era rimasto malato per mezzo ciclo lunare. Inoltre erano le creature che si muovevano più velocemente là fuori e lei sapeva che se fosse riuscita a colpirne uno, soprattutto di notte, allora sarebbe stata capace di colpire qualsiasi cosa. Una volta aveva trascorso tutta la notte di luna piena a tirare lontano dalla torre di suo padre ed era tornata felice al sorgere del sole, estasiata di vedere mucchi di pipistrelli lupo a terra, con le sue frecce ancora conficcate addosso e gli abitanti del villaggio che li guardavano meravigliati.

Kyra si sforzò di concentrarsi.  Osservava il tiro con concentrazione, vedendosi sollevare l’arco, tirarlo velocemente al mento e lasciarlo senza esitazione. Il vero tiro, lo sapeva bene, avveniva prima del tiro stesso. Aveva visto tantissimi arcieri della sua età, quattordicenni come lei, tirare lo spago e barcollare, e sapeva che in quel modo i loro colpi sarebbero andati a vuoto. Fece un respiro profondo, sollevò l’arco e con un movimento deciso tirò e rilasciò immediatamente. Non doveva neanche guardare per sapere che aveva colpito l’albero.

Un secondo dopo udì il colpo, ma si era già girata e stava già cercando un altro bersaglio, qualcosa di più distante.

Kyra udì un piagnucolio ai suoi piedi e abbassando lo sguardo vide Leo, il suo lupo, che le camminava accanto come sempre strusciandosi contro la sua gamba. Un lupo adulto che le arrivava quasi alla vita, protettivo nei suoi confronti tanto quanto Kyra lo era per lui: i due erano inseparabili nel forte di suo padre. Kyra non poteva andare da nessuna parte senza che Leo corresse per raggiungerla. E per tutto il tempo le stava appiccicato, a meno che uno scoiattolo o un coniglio attraversassero il sentiero, nel cui caso scompariva anche per ore.

“Non mi sono dimenticata di te, amico mio,” disse Kyra portando una mano in tasca e porgendogli l’osso rimasto dal giorno di festa. Leo lo morse trotterellandole allegramente accanto.

Mentre Kyra camminava, il fiato che appariva nebulizzato davanti a lei, si mise l’arco in spalla e soffiò tra le mani, nude e fredde. Attraversò il largo e piatto altopiano e guardò oltre. Da quel punto sopraelevato poteva vedere tutta la campagna, le morbide colline di Volis, solitamente verdi e ora ammantate di neve, la provincia della fortezza di suo padre, arroccata nell’angolo nord-orientale del regno di Escalon. Da lassù poteva vedere tutto ciò che avveniva nei dintorni della roccaforte di suo padre, il viavai della gente del villaggio e dei guerrieri, un altro motivo per cui le piaceva starsene lì. Le piaceva osservare gli antichi contorni di pietra del forte di suo padre, le forme dei terrapieni e delle torri che si allungavano in maniera impressionante tra le colline, sembrando estendersi ovunque. Volis era la struttura più alta nella campagna, alcuni dei suoi edifici si elevavano per quattro piani ed erano contornati da impressionanti strati di fortificazioni. Era completato da una torre circolare dalla parte opposta, una cappella per il popolo, ma per lei era un luogo da scalare e da dove poter osservare la campagna circostante. Il complesso di pietra era circondato da un fossato al di sopra del quale si allungava un ampio ponte che proseguiva la strada principale. Il fossato a sua volta era circondato da strati di impressionanti terrapieni, colline, argini, mura: un luogo che si confaceva al più importanti guerriero del re, suo padre.

Sebbene Volis, l’ultima roccaforte prima di Le Fiamme, si trovasse a diversi giorni di viaggio da Andros, la capitale di Escalon, era pur sempre la patria di molti dei più conosciuti guerrieri del re. Era anche diventata un faro di salvezza, un luogo che si era trasformato nella patria di centinaia di paesani e contadini che vivevano all’interno o nei pressi delle sue mura, sotto la sua protezione.

Kyra guardò verso le decine di piccole abitazioni fatte d’argilla inserite tra le colline alla periferia del forte, con il fumo che saliva dai camini, i contadini che correvano avanti e indietro preparandosi per l’inverno e per i festeggiamenti della serata. Kyra sapeva bene che il fatto che gli abitanti si sentissero abbastanza sicuri da vivere fuori dalle mura principali era un segno di forte rispetto nei confronti del potere di suo padre, una cosa che non si vedeva da nessun’altra parte a Escalon. Dopotutto non avevano che richiedere flebilmente protezione, dato l’istantaneo raggruppamento degli uomini di suo padre in caso di necessità.

Kyra guardò verso il ponte levatoio, sempre gremito di gente – contadini, mandriani, macellai, fabbri e ovviamente guerrieri – tutti che si affrettavano dal forte alla campagna e viceversa. Perché l’interno delle mura del forte non era solo un luogo per vivere ed allenarsi, ma vi si trovava anche un infinita schiera di cortili di ciottoli che erano diventati punto d’incontro per i mercanti. Ogni giorno vi venivano allineate le loro bancarelle, la gente vendeva la propria mercanzia contrattando, mostrando le prede o la caccia del giorno, oppure qualche stoffa, o spezia, o dolciume esotico acquistato oltreoceano. I cortili del forte erano sempre pieni di odori esotici provenienti da qualche strano tè o da qualche stufato. Ci si sarebbe potuta perdere per ore. E subito oltre le mura, in lontananza, il cuore le accelerò in petto vedendo il solito campo d’allenamento degli uomini di suo padre, il Cancello dei Combattenti: il basso muro che lo circondava le permetteva di vedere come gli uomini si lanciassero alla carica sui loro cavalli, cercando di colpire dei bersagli – scudi che pendevano dagli alberi – con le lance. Avrebbe desiderato tantissimo allenarsi con loro.

Kyra udì improvvisamente una voce che gridava, una voce che le era familiare quanto la propria e che veniva dalla parte dell’ingresso. Si voltò subito in allerta. C’era confusione tra la folla e lei vide che attraverso il caos usciva nella strada principale, passando attraverso la ressa, suo fratello più giovane Aidan, condotto dagli altri due, Brandon e Braxton. Kyra si irrigidì, in guardia. Poteva dire dal tono angoscioso del fratellino che i suoi fratelli maggiori non avevano in mente niente di buono.

Kyra socchiuse gli occhi osservando i fratelli più grandi e sentendo la familiare rabbia crescerle dentro. Involontariamente strinse il pungo attorno al proprio arco. Aidan camminava tra i due, entrambi più alti di una trentina di centimetri. Tutti e due lo tenevano per un braccio e lo trascinavano contro la sua volontà lontano dal forte e verso la campagna. Aidan, un ragazzino piccolo, magro e sensibile di appena dieci anni e che sembrava ancora più vulnerabile così schiacciato tra i suoi due fratelli, bruti più grossi del normale, dell’età di diciassette e diciotto anni. Avevano caratteristiche e colori simili, con mandibole forti, menti fieri, occhi marrone scuro e capelli castani e ondulati. Quelli di Brandon e Braxton erano corti, mentre Aidan li portava lunghi e arruffati e gli ricadevano sugli occhi. Sembravano tutti simili tra loro e tutti diversi da lei, che aveva capelli biondo chiaro e occhi verdi. Con la sua calzamaglia in tessuto, la tunica di lana e il mantello, Kyra era alta e magra, pallidissima. Si diceva che avesse caratteristiche che davano nell’occhio, con la fronte ampia e il naso piccolo, tratti che portavano più di una persona a voltarsi per guardarla meglio. Soprattutto ora che stava per compiere quindici anni, aveva notato che le occhiate stavano aumentando.

Questo la faceva sentire a disagio. Non le piaceva attirare l’attenzione su di sé e lei stessa non si vedeva così bella. L’aspetto non le interessava per nulla: i suoi unici interessi erano l’allenamento, il valore e l’onore. Avrebbe preferito assomigliare a suo padre, come i suoi fratelli, l’uomo che ammirava e amava più di chiunque altro al mondo, piuttosto che possedere le caratteristiche delicate che aveva. Si guardava sempre allo specchio per vedere qualcosa di lui nei suoi occhi, ma per quanto osservasse con attenzione, non vi trovava mai niente.

“Vi ho detto di lasciarmi stare!” gridò Aidan e la sua voce giunse fino a lì.

Al grido di angoscia del suo fratellino, un ragazzino che Kyra adorava più di chiunque altro al mondo, si rizzò di scatto in piedi, come un leone che osserva il proprio cucciolo. Anche Leo si irrigidì e rizzò il pelo sulla schiena. Con la madre che era mancata da tempo, Kyra si sentiva obbligata a prendersi cura di Aidan, a ricoprire il ruolo della madre che lui non aveva mai avuto.

Brandon e Braxton lo trascinavano con forza lungo la strada, lontano dal forte, verso la solitaria via di campagna che portava in distanza verso il bosco. Vide che cercavano di costringerlo a tenere in mano una lancia troppo grande per lui. Aidan era diventato un bersaglio troppo facile per loro, erano veramente dei bulli. Erano forti e in qualche modo coraggiosi, ma avevano piГ№ spacconeria che vera abilitГ  e sembravano creare sempre problemi dai quali non erano poi bene in grado di divincolarsi. Era esasperante.

Kyra capì cosa stava accadendo: Brandon e Braxton stavano trascinando Aidan con loro in una delle loro caccie. Scorse i fiaschi di vino che avevano in mano e capì che avevano bevuto. Avvampò di rabbia. Non bastava che stessero per uccidere qualche insensato animale, ma stavano portando con loro anche il fratello più piccolo nonostante le sue proteste.

L’istinto di Kyra si fece sentire e lei scattò in azione, correndo giù dalla collina per affrontarli, con Leo sempre al suo fianco.

“Sei grande abbastanza adesso,” disse Brandon ad Aidan.

“È ora che diventi un uomo,” disse Braxton.

Saltellando lungo i pendii erbosi che conosceva a memoria, non ci volle molto a Kyra per raggiungerli. Corse sulla strada e si fermГІ davanti a loro bloccandogli il passaggio, respirando affannosamente con Leo accanto. I suoi fratelli si immobilizzarono subito e la guardarono sorpresi.

Vide che il volto di Aidan si illuminava per il sollievo.

“Ti sei persa?” le chiese Braxton con tono canzonatorio.

“Ci stai bloccando la strada,” disse Brandon. “Torna dalle tue frecce e dai tuoi rametti.”

I due risero prendendola in giro, ma lei si accigliГІ, irremovibile, mentre Leo accanto a lei ringhiava.

“Allontana da noi quella bestia,” le disse Braxton cercando di apparire coraggioso ma con la paura evidente nella voce mentre stringeva il pugno sulla lancia.

“E dove pensate di portare Aidan?” chiese Kyra mortalmente seria, guardandoli senza muoversi di un centimetro.

Fecero una pausa e i loro volti lentamente si fecero piГ№ severi.

“Lo portiamo dove ci pare e piace,” rispose Brandon.

“Sta venendo a una caccia per imparare a diventare un uomo,” disse Braxton sottolineando l’ultima parola come frecciata nei suoi confronti.

Ma lei non aveva certo intenzione di arrendersi.

“È troppo piccolo,” rispose con fermezza.

Brandon si accigliГІ.

“Chi lo dice?” chiese.

“Lo dico io.”

“Sei per caso sua madre?” chiese Braxton.

Kyra arrossì, piena di rabbia, desiderando più che mai che sua madre fosse lì in quel momento.

“Tanto quanto voi siete suo padre,” rispose.

Rimasero tutti in silenzio e Kyra guardГІ Aidan che la fissava con occhi spaventati.

“Aidan,” gli chiese, “è una cosa che vuoi fare?”

Aidan guardò in terra, intimidito. Rimase lì, in silenzio, evitando il suo sguardo. Kyra capì che aveva paura di parlare, di provocare la disapprovazione dei fratelli maggiori.

“Bene, hai avuto la tua risposta,” disse Brandon. “Non ha alcuna obiezione.”

Kyra rimase ferma, ardendo di frustrazione, desiderando che Aidan parlasse ma incapace di costringerlo.

“È una cosa poco saggia da parte vostra portarlo a cacciare,” disse. “Si sta prospettando una tempesta. Presto sarà buio. Il bosco è pieno di pericoli. Se volete insegnargli a cacciare, portatelo con voi quando sarà più grande, un altro giorno.”

Le lanciarono un’occhiataccia, visibilmente irritati.

“Tu cosa ne sai di caccia?” le chiese Braxton. “Cos’hai cacciato tu, oltre a quei tuoi alberi?”

“Ce ne sono alcuni che mordono ultimamente?” aggiunse Brandon.

Risero entrambi e Kyra si sentì avvampare, dibattuta sul da farsi. Se Aidan non parlava non c’era molto che potesse fare.

“Ti preoccupi troppo, sorella,” le disse infine Brandon. “Non succederà niente ad Aidan sotto la nostra sorveglianza. Vogliamo farlo diventare un po’ più tosto, mica ucciderlo. Pensi davvero di essere l’unica che si preoccupa per lui?”

“E poi nostro padre sta guardando,” disse Braxton. “Vuoi deluderlo?”

Kyra sollevГІ subito gli occhi guardando alle loro spalle e in alto, sulla torre, scorse suo padre in piedi alla finestra ad arco, che osservava. ProvГІ una forte delusione vedendo che non li aveva fermati.

I fratelli cercarono di passare oltre, ma Kyra rimase ferma, bloccando cocciutamente la strada. Sembrava che stessero per spingerla via, ma Leo si frappose tra loro ringhiando e decisero di lasciar perdere.

“Aidan, non è troppo tardi,” gli disse. “Non sei costretto a farlo. Vuoi tornare al forte con me?”

Lo esaminò e vide gli occhi che gli si riempivano di lacrime, ma allo stesso tempo percepì che era combattuto. Passò un lungo silenzio, con nulla ad interromperlo se non l’ululare del vento e la neve più rapida.

Alla fine Aidan si mosse.

“Voglio andare a caccia,” bofonchiò svogliatamente.

I fratelli le passarono improvvisamente accanto spingendola e trascinando Aidan. Mentre percorrevano frettolosamente la strada Kyra si voltГІ provando una senso di nausea salirle dallo stomaco.

Si voltГІ nuovamente verso il forte e guardГІ la torre, ma suo padre era giГ  scomparso.

Kyra guardò i tre fratelli scomparire alla vista, nella tempesta di neve che stava aumentando, diretti verso il Bosco di Spine, e sentì una fitta allo stomaco. Pensò di prendere Aidan e riportarlo indietro, ma non voleva farlo vergognare.

Sapeva che avrebbe dovuto lasciar perdere, ma non ne era capace. Qualcosa dentro di lei non glielo permetteva. Percepiva che c’era del pericolo, soprattutto alla vigilia della Luna d’Inverno. Non si fidava dei suoi fratelli più grandi: non avrebbero fatto del male ad Aidan, ma erano spericolati e troppo turbolenti. E cosa peggiore, avevano troppa fiducia nelle loro capacità. Non era una buona combinazione.

Kyra non poté sopportare oltre. Se suo padre non avesse fatto qualcosa, l’avrebbe fatto lei. Ora era abbastanza grande e non aveva bisogno di rispondere a nessuno se non a se stessa.

Si mise a correre, percorrendo rapidamente il sentiero di campagna, con Leo al suo fianco, diretta proprio verso il Bosco di Spine.




CAPITOLO DUE


Kyra entrò nel tetro Bosco di Spine a ovest del forte, una foresta così fitta che vi si poteva a malapena vedere attraverso. Mentre vi camminava lentamente insieme a Leo, la neve e il ghiaccio che scricchiolavano sotto ai piedi, sollevò lo sguardo. Si sentì annichilita dalla vista degli alberi di spine che sembravano trovarsi ovunque. Erano vecchi alberi neri con rami contorti che sembravano spine, completati da foglie grosse e pure nere. Sentiva che quel posto era maledetto: non ne veniva mai fuori niente di buono. Gli uomini di suo padre ne tornavano feriti dopo le caccie e più di una volta un troll, che era riuscito a passare attraverso Le Fiamme, aveva trovato rifugio lì usandolo come base per attaccare gli abitanti del villaggio.

Quando vi entrò, Kyra provò un brivido. Era più buio lì, più fresco, l’aria era più umida, l’odore degli alberi di spine impregnava l’aria: sapevano di terra marcia e, enormi come si ergevano, escludevano ciò che restava della luce del giorno. Kyra, in guardia, era furiosa con i fratelli maggiori. Era pericoloso avventurarsi lì senza l’accompagnamento di numerosi guerrieri, soprattutto al crepuscolo. Ogni rumore la faceva sobbalzare. Si udì il lontano richiamo di un animale e lei rabbrividì voltandosi a guardare. Ma il bosco era fitto e non riusciva a vedere nulla.

Leo perГІ ringhiava accanto a lei e improvvisamente scattГІ per andare a cacciarlo.

“Leo!” gridò Kyra.

Ma era giГ  andato.

Sospirò contrariata: faceva sempre così quando incrociava un animale. Sapeva comunque che alla fine sarebbe tornato.

Kyra continuava, ora da sola, con il bosco che si faceva sempre più scuro, lottando per trovare il sentiero dei suoi fratelli.  Ad un certo punto udì una lontana risata. Scattò sull’attenti, voltandosi verso il rumore e facendosi strada tra i fitti alberi fino a scorgere i fratelli davanti a sé.

Esitò restando indietro, mantenendo una buona distanza, non volendo essere vista. Sapeva che se Aidan l’avesse vista sarebbe stato imbarazzato e l’avrebbe mandata via. Avrebbe guardato dall’ombra, decise, giusto per assicurarsi che non si mettessero nei guai. Era meglio che Aidan non provasse vergogna, che si sentisse come un uomo.

Un rametto scricchiolò sotto i suoi piedi e Kyra si abbassò, preoccupata che il rumore la facesse scoprire, ma i suoi fratelli maggiori, ubriachi, erano ignari, già una trentina di metri davanti a lei, e camminavano velocemente, quindi il rumore venne coperto dalle loro stesse risate. Dal linguaggio del corpo di Aidan poteva però vedere che lui era teso, come se stesse per piangere. Teneva stretta la sua lancia, come se volesse provare a se stesso che era un uomo, ma era una presa maldestra su un’arma troppo grande e lui faceva fatica a reggerne il peso.

“Vieni qui!” gridò Braxton voltandosi verso Aidan che era rimasto qualche passo più indietro.

“Di cosa hai paura?” gli chiese Brandon.

“Non ho paura,” insistette Aidan.

“Silenzio!” disse improvvisamente Brandon fermandosi e portando una mano contro il petto di Aidan con espressione per la prima volta seria. Anche Braxton si fermò e tutti si irrigidirono.

Kyra trovò riparo dietro a un albero e guardò da lì i suoi fratelli. Si trovavano al limitare di una radura e guardavano dritto davanti a loro come se avessero scorto qualcosa.

Strisciò in avanti, all’erta, cercando di guardare meglio e si fece strada tra due grossi alberi. Qui si fermò allibita cogliendo uno scorcio di ciò che stavano guardando. Lì, da solo nella radura, intento a cercare ghiande, c’era un cinghiale. Non era un normale cinghiale: era mostruoso, un cinghiale dal corno nero, il più grosso che avesse mai visto, con lunghe zanne arrotondate e bianche e tre corni affilati e neri, uno che gli usciva dal naso e due dalla testa. Era grande quasi quanto un orso, una creatura rara, famosa per la sua ferocia e la sua estrema rapidità. Era un animale fortemente temuto, una bestia che nessun cacciatore avrebbe mai voluto incontrare.

Era un problema.

Kyra, con la pelle d’oca sulla braccia, avrebbe voluto che Leo fosse lì, ma era anche contenta che non ci fosse, sapendo che sarebbe scattato addosso a quella bestia e non sapendo se avrebbe retto il confronto. Kyra si fece avanti, togliendosi lentamente l’arco dalla spalla e allungando istintivamente un braccio per prendere una freccia. Cercò di calcolare quanto distasse il cinghiale dai ragazzi e quanto fosse distante lei: capì subito che non andava bene. C’erano troppi alberi in mezzo perché potesse realizzare un buon tiro, e con un animale di quella stazza non c’era spazio per errori. Dubitava che una sola freccia potesse abbatterlo.

Kyra notò il lampo di paura sui volti dei suoi fratelli, poi vide Brandon e Braxton che sostituivano al timore un’espressione da spacconi e fu certa che gli veniva dettata da ciò che avevano bevuto. Sollevarono entrambi le lance e fecero diversi passi in avanti. Braxton vide Aidan paralizzato al suo posto e si voltò, lo afferrò per una spalla e fece avanzare anche lui.

“C’è un’occasione per fare di te un uomo,” gli disse. “Uccidi quel cinghiale e canteranno le tue gesta per generazioni.”

“Porta a casa la sua testa e sarai famoso a vita,” disse Brandon.

“Io ho… paura,” disse Aidan.

Brandon e Braxton ridacchiarono, poi scoppiarono a ridere sul serio.

“Hai paura?” disse Brandon. “E cosa direbbe nostro padre se ti sentisse dire una cosa del genere?”

Il cinghiale, allarmato, sollevò la testa mostrando i suoi occhi gialli e li guardò con il muso che assumeva una smorfia rabbiosa. Aprì la bocca, mettendo in mostra le zanne, e sbavò emettendo contemporaneamente un ruggito feroce che proveniva da qualche parte nella sua pancia. Kyra, anche da distante, provò una fitta di terrore e poté solo immaginare la paura che Aidan stava provando.

Corse in avanti, gettando al vento la cautela e determinata a raggiungerli prima che fosse troppo tardi. Quando fu a pochi passi dietro ai suoi fratelli, gridò: “Lasciatelo stare!”

La sua voce secca squarciГІ il silenzio e i suoi fratelli si voltarono chiaramente stupiti.

“Avete avuto la vostra dose di divertimento,” aggiunse. “Lasciate perdere.”

Mentre Aidan sembrava sollevato, Brandon e Braxton le lanciarono un’occhiataccia.

“E tu cosa ne sai?” ribatté Brandon. “Piantala di impicciarti con uomini veri.”

Il ringhio del cinghiale si fece piГ№ profondo mentre strisciava verso di loro e Kyra, allo stesso tempo spaventata e arrabbiata, si fece avanti.

“Se siete abbastanza sciocchi da opporvi a questa bestia, allora andate avanti,” disse. “Ma mandate Aidan qui da me.”

Brandon si accigliГІ.

“Aidan sta benissimo qui,” la rintuzzò. “Sta per imparare come si combatte. Vero, Aidan?”

Aidan rimase in silenzio, paralizzato dalla paura.

Kyra stava per fare un altro passo in avanti per afferrare il braccio di Aidan quando si udì un fruscio nella radura. Vide che il cinghiale si faceva sempre più vicino, un passo alla volta, minacciosamente.

“Non attaccherà se non lo provocherete,” disse nervosamente Kyra ai fratelli. “Lasciate perdere.”

Ma i fratelli la ignorarono, voltandosi entrambi verso l’animale e sollevando le lance. Avanzarono nella radura come per dar prova del loro coraggio.

“Io miro alla testa,” disse Brandon.

“E io alla gola,” aggiunse Braxton.

Il cinghiale ringhiò più forte, aprì di più la bocca, sbavando, e fece un altro minaccioso passo.

“Tornate qui!” gridò Kyra disperata.

Ma Brandon e Braxton avanzarono, sollevarono le lance e improvvisamente le scagliarono.

Kyra guardò con tensione mentre le lance volavano in aria, preparandosi al peggio. Vide con sgomento che quella di Brandon graffiò l’orecchio dell’animale, tanto da farlo sanguinare – e da provocarlo – mentre quella di Braxton andò oltre mancando la testa di diverse decine di centimetri.

Per la prima volta Brandon e Braxton parvero spaventati. Rimasero a bocca aperta, ammutoliti, il torpore dato dal vino rimpiazzato dalla paura.

Il cinghiale, infuriato, abbassГІ la testa, emise un orribile ringhio e improvvisamente si lanciГІ alla carica.

Kyra guardò con orrore mentre si gettava contro i suoi fratelli. Era la cosa più veloce che avesse mai visto considerata la stazza, e scattava nell’erba come fosse un capriolo.

Mentre si avvicinava Brandon e Braxton iniziarono a correre per salvarsi, sfrecciando in direzioni opposte.

In questo modo lasciarono Aidan, radicato sul posto, da solo, paralizzato dalla paura. Con la bocca spalancata, lasciГІ la presa e la lancia gli cadde di mano, accanto a lui a terra. Kyra sapeva che non avrebbe fatto molta differenza: Aidan non avrebbe potuto difendersi da solo neanche se avesse tentato. Neanche un uomo adulto avrebbe potuto. E il cinghiale, come a percepirlo, pose gli occhi su Aidan dirigendosi dritto verso di lui.

Kyra, con il cuore che le batteva nel petto, scattò in azione sapendo che quella era la sua ultima possibilità. Senza pensare si lanciò in avanti, schivando gli alberi e tenendo l’arco davanti a sé sapendo che aveva un tiro e che doveva essere perfetto. Sarebbe stato un tiro difficile anche se il cinghiale non fosse stato in movimento, impaurita com’era, ma doveva essere perfetto se volevano sopravvivere.

“AIDAN, ABBASSATI!” gli gridò.

All’inizio non si mosse. Aidan le bloccava la strada impedendole un tiro diretto e mentre Kyra sollevava l’arco e correva in avanti si rese conto che se Aidan non si fosse spostato, il suo unico tiro sarebbe andato a vuoto. Inciampando nel bosco, con i piedi che scivolavano nella neve e nella terra fradicia, per un momento si sentì come se tutto fosse perduto.

“AIDAN!” gridò di nuovo, disperata.

Per qualche miracolo questa volta la ascoltò e si tuffò a terra all’ultimo momento lasciando via libera al suo tiro.

Mentre il cinghiale andava verso Aidan il tempo improvvisamente rallentò per Kyra. Si sentì entrare in una zona diversa, alterata, mentre qualcosa cresceva dentro di sé, qualcosa che non aveva mai provato prima e che non capiva del tutto. Il mondo si restrinse e si mise a fuoco. Poteva sentire il suono del suo cuore che batteva, del suo respiro, il fruscio delle foglie, di un corvo che gracchiava in alto sopra di lei. Si sentiva più che mai in sintonia con l’universo, come se fosse entrata in qualche regno dove lei e l’universo erano un tutt’uno.

Kyra sentì i palmi iniziare a scaldarsi, percorsi da un formicolio, punzecchiati da un’energia che non comprendeva, come se qualcosa di sconosciuto le stesse invadendo il corpo. Era come se, per un fuggevole attimo, fosse diventata qualcuno di più grande di se stessa, qualcuno di molto più potente.

Kyra entrò in uno stato dove non c’era pensiero e si permise di lasciarsi guidare dal puro istinto e da quella nuova energia che le scorreva attraverso. Piantò i piedi, sollevò l’arco, posizionò la freccia e la scoccò.

Nel momento in cui la lasciò andare capì che era stato un tiro speciale. Non ebbe bisogno di guardare la freccia volare per sapere che si stava dirigendo esattamente dove voleva che andasse: nell’occhio destro della bestia. Tirò con tale forza da scagliarla quasi un passo prima di fermarsi.

Il cinghiale improvvisamente grugnì e le sue gambe vacillarono sotto di lui facendolo cadere di muso nella neve. Scivolò nella radura, dimenandosi, ancora vivo, fino a raggiungere Aidan. Alla fine si fermò a un passo da lui, così vicino da toccarlo quasi.

Si contorse in terra e Kyra, ormai con un’altra freccia pronta nell’arco, fece un passo avanti, si fermò al di sopra della bestia e gli piantò un altro colpo nel cranio. Alla fine l’animale smise di muoversi.

Kyra stava nella radura, in silenzio, con il cuore che batteva forte e il formicolio nelle mani che lentamente svaniva, l’energia che si dissipava. Era meravigliata da ciò che era appena accaduto. Era stata davvero lei a tirare quel colpo?

Immediatamente si ricordò di Aidan e si voltò afferrandolo mentre lui la guardava come se fosse sua madre, con gli occhi pieni di paura, ma incolume. Kyra provò un’ondata di sollievo rendendosi conto che stava bene.

Si voltò e vide gli altri due fratelli, entrambi ancora stesi nella radura, che la guardavano con stupore e ammirazione. Ma c’era qualcos’altro nei loro occhi, qualcosa che la turbò: sospetto. Come se la considerassero diversa da loro. Una sconosciuta. Era un’occhiata che Kyra aveva già visto, raramente, ma abbastanza da farla dubitare di se stessa. Si girò di nuovo a guardare la bestia morta, mostruosa, enorme, ferma ai suoi piedi, e si chiese come lei, una ragazzina di quindici anni, avesse potuto fare una cosa del genere. Era oltre ogni capacità, lo sapeva. Oltre un qualsiasi colpo di fortuna.

C’era sempre stato qualcosa di lei che la facevano sembrare diversa dagli altri. Rimase lì, intorpidita, volendo muoversi senza esserne capace. Perché ciò che l’aveva scossa lì quel giorno non era quella bestia, lo sapeva, ma il modo in cui i suoi fratelli la guardavano. E non poteva fare a meno di porsi, per la milionesima volta, la domanda con la quale per tutta la vita aveva avuto paura di confrontarsi: chi era lei?




CAPITOLO TRE


Kyra camminava dietro ai suoi fratelli mentre tutti percorrevano la strada che li riportava al forte e li vedeva fare fatica sotto al peso del cinghiale. Aidan era accanto a lei e Leo ai suoi piedi, di ritorno dalla battuta di caccia. Brandon e Braxton si affaccendavano nel trasportare la bestia morta in mezzo a loro, legata alle due lance a loro volta appoggiate sulle loro spalle. Il loro cupo umore era drasticamente mutato da quando erano emersi dal bosco ed erano tornati sotto il cielo aperto, soprattutto ora che il forte di loro padre era in vista. A ogni passo Brandon e Braxton divenivano piГ№ sicuri, di nuovo arroganti come sempre, ora quasi sul punto di ridere, interrompendosi a vicenda mentre si vantavano della loro vittima.

“È stata la mia lancia a sfiorarlo,” disse Brandon a Braxton.

“Ma,” ribatté il fratello, “è stata la mia che lo ha fatto andare verso la freccia di Kyra.”

Kyra ascoltava, arrossendo in volto per le loro bugie: i suoi testardi fratelli si stavano giГ  convincendo della loro stessa storia e ora sembravano veramente crederci. GiГ  se li vedeva mentre si vantavano nella sala di suo padre, dicendo a tutti di averlo ucciso loro.

Cose da pazzi. PerГІ non era da lei correggerli. Credeva ciecamente nella ruota della giustizia e sapeva che, alla fine, la veritГ  veniva sempre a galla.

“Siete dei bugiardi,” disse Aidan camminandole accanto, chiaramente ancora scosso dall’accaduto. “Sapete che è stata Kyra ad uccidere quel cinghiale.”

Brandon lanciò un’occhiata derisoria alle sue spalle, come se Aidan fosse un insetto.

“Cosa ne vuoi sapere tu?” gli chiese. “Eri troppo impegnato a fartela nei pantaloni.”

Risero entrambi, come a confermare la loro versione dei fatti ogni passo di piГ№.

“E voi non stavate forse scappando impauriti?” chiese Kyra, prendendo le difese di Aidan, incapace di sopportare un secondo di più.

Detto questo entrambi fecero silenzio. Kyra avrebbe potuto veramente dirgliene quattro, ma non aveva bisogno di alzare la voce. Camminava felicemente, sentendosi bene con se stessa, sapendo dentro di sГ© di aver salvato la vita di suo fratello: questa era tutta la soddisfazione che le bastava.

Kyra sentì una piccola mano sulla sua spalla e si guardò accanto vedendo Aidan che le sorrideva consolandola, chiaramente riconoscente di essere vivo grazie a lei. Kyra si chiedeva se anche i fratelli maggiori apprezzassero ciò che aveva fatto per loro. Dopotutto se non fosse comparsa al momento giusto anche loro sarebbero rimasti uccisi.

Kyra guardava il cinghiale penzolare davanti a lei a ogni passo e fece una smorfia: avrebbe voluto che i fratelli lo lasciassero nella radura, il luogo a cui apparteneva. Era un animale maledetto, Volis non era il suo posto e non era loro proprietà. Era un cattivo presagio, soprattutto dato che proveniva dal Bosco di Spine e soprattutto alla vigilia della Luna d’Inverno. Ripensò a un antico detto che aveva letto: non gloriarti dopo essere scampato alla morte. Sentiva che i suoi fratelli stavano sfidando il fato, portando l’oscurità dritto a casa loro. Non poteva evitare di sentire che ciò poteva solo anticipare brutte cose.

Giunsero in cima a una collina e la fortezza apparve davanti a loro insieme all’immensa veduta sul paesaggio circostante. Nonostante le folate di vento e la neve sempre più intensa, Kyra provò un grandioso senso di sollievo per essere a casa. Il fumo si levava dai comignoli che punteggiavano la campagna e il forte di suo padre emetteva un delicato e accogliente bagliore, tutti illuminato dai fuochi che respingevano l’avanzata del crepuscolo. La strada si fece più larga, meglio curata man mano che si avvicinavano al ponte e tutti aumentarono il passo e percorsero in modo spiccio l’ultimo tratto. La strada era gremita di gente, tutti allegri per la festa, nonostante il tempo e la notte incombente.

Kyra era sorpresa. La festa della Luna d’Inverno era uno dei giorni più importanti dell’anno e tutti erano impegnati nei preparativi per i festeggiamenti che si sarebbero svolti. Una grossa folla di gente era ammassata sul ponte levatoio e accorreva a comprare le ultime cose dai venditori per poi unirsi alla festa, mentre un altro buon numero di gente attraversava il cancello affrettandosi verso casa per festeggiare con le proprie famiglie. I buoi tiravano carri e trasportavano merce da ogni parte, mentre i muratori battevano e scalpellavano indaffarati nella costruzione di un altro muro attorno al forte. Il rumore dei loro martelli era costante nell’aria, enfatizzato dal chiasso di bestiame e cani. Kyra si chiedeva come potessero sempre lavorare con quel tempo, come potessero evitare che le mani gli si intorpidissero.

Mentre si dirigevano verso il ponte unendosi alla folla, Kyra sollevò lo sguardo davanti a sé e le si strinse lo stomaco vedendo, in piedi vicino al cancello, diversi uomini del Lord, soldati del governatore locale incaricati da Pandesia, con indosso le loro tipiche armature di maglia scarlatta. Provò un lampo di indignazione vedendoli, condividendo il medesimo risentimento di tutto il suo popolo. La presenza degli uomini del Lord era ogni volta opprimente, ma lo era ancor più nel giorno della Luna d’Inverno, quando si trovavano sicuramente lì per chiedere qualsiasi genere di cosa alla sua gente. Erano come dei cacciatori di tesori per conto dei disprezzabili aristocratici che si erano stabiliti al potere fin dall’invasione dei Pandesiani.

La debolezza del re precedente ne era la causa: li aveva fatti arrendere e questo lasciava loro poco di buono ora. La loro disgrazia adesso era che dovevano rimettersi alle decisioni di quegli uomini. Questo riempiva Kyra di rabbia. Era una situazione che rendeva suo padre e i suoi grandiosi guerrieri – e tutto il suo popolo – niente più che sevi di grado più elevato. Avrebbe disperatamente voluto che si ribellassero, che lottassero per la loro libertà, che combattessero la guerra che il re precedente aveva avuto paura di portare avanti. Ma sapeva anche che, se fossero insorti ora, avrebbero affrontato l’ira dell’esercito pandesiano. Avrebbero forse potuto respingerli se non avessero mai permesso loro di entrare, ma ora che erano trincerati, c’erano ben poche opzioni.

Raggiunsero il ponte mescolandosi con la folla e al loro passaggio la gente iniziò a fermarsi, a guardare ed indicare il cinghiale. Kyra provò una certa soddisfazione nel vedere che i suoi fratelli stavano sudando sotto il peso dell’animale, sbuffando e ansimando. Mentre procedevano le teste si voltavano e la gente osservava, comuni paesani e guerrieri indistintamente, tutti impressionati dall’enorme bestia. Scorse anche alcune occhiate superstiziose mentre alcune delle persone si chiedevano se quello fosse un cattivo presagio.

Ad ogni modo tutti gli occhi era rivolti con orgoglio verso i suoi fratelli.

“Un bel bottino per la festa!” esclamò un contadino che conduceva un bue mentre si portava con loro sulla strada.

Brandon e Braxton erano raggianti di orgoglio.

“Darà da mangiare a metà della corte di vostro padre!” gridò un macellaio.

“Come avete fatto?” chiese un sellaio.

I due fratelli si scambiarono un’occhiata e Brandon alla fine sorrise all’uomo.

“Un bel tiro e mancanza di paura,” rispose boriosamente.

“Se non ci si avventura mai nel bosco,” aggiunse Braxton, “non si può mai sapere cosa si può trovare.”

Un gruppetto di uomini esultò e diede loro delle pacche sulla schiena. Kyra, nonostante tutto, trattenne la lingua. Non aveva bisogno dell’approvazione di quella gente: sapeva bene da sé ciò che aveva fatto.

“Non sono stati loro ad uccidere il cinghiale,” esclamò Aidan, indignato.

“Tu taci,” gli sibilò contro Brandon voltandosi. “Ancora una parola e racconterò loro come te la sei fatta sotto mentre ti correva contro.”

“Ma non me la sono fatta sotto,” protestò Aidan.

“E pensi che ti crederanno?” chiese Braxton.

Brandon e Braxton risero e Aidan guardГІ Kyra come in attesa di sapere cosa fare.

Lei scosse la testa.

“Non sprecare le forze,” gli disse. “La verità alla fine vince sempre.”

La massa di gente si fece più fitta mentre passavano sopra al ponte trovandosi presto spalla a spalla con la gente oltrepassando il fossato. Kyra poteva percepire l’eccitazione nell’aria mentre calava il tramonto, le torce accese lungo il ponte e nelle strade, la neve che scendeva fitta. Sollevò lo sguardo davanti a sé e i battiti del cuore accelerarono, come sempre, vedendo l’enorme cancello ad arco del forte, sorvegliato da una decina di uomini di suo padre. In cima si trovavano le punte di una grata di ferro, ora sollevata, fatta di sbarre spesse e spunzoni affilati, abbastanza forte da mantenere alla larga qualsiasi avversario, pronta ad essere abbassata al minimo suono di corno. Il cancello di elevava di dieci metri e alla sua sommità si trovava un’ampia piattaforma che si allargava attraverso l’intero forte, ampi terrapieni di pietra dotati di sentinelle che tenevano sempre uno sguardo vigile. Volis era una bella fortezza e Kyra ne era sempre stata orgogliosa. Ciò che la rendeva ancora più degna di orgoglio erano gli uomini che si trovavano all’interno, gli uomini di suo padre, molti dei migliori guerrieri di Escalon che si erano lentamente raggruppati a Volis dopo essersi dispersi dalla resa del loro re, attirati come calamite da suo padre. Più di una volta aveva insistito con suo padre perché si dichiarasse nuovo re, come tutto il suo popolo desiderava che facesse, ma lui si era sempre limitato a scuotere la testa dicendo che non era fatto così.

Mentre si avvicinavano al cancello, una decina degli uomini di suo padre corsero fuori a cavallo e le masse si fecero da parte per lasciarli andare verso il loro campo da allenamento, un’ampia zona circolare in mezzo ai campi fuori dal forte, circondato da un basso muro di pietra. Kyra si voltò e li guardò andare con il cuore che batteva forte. I campi da allenamento erano il suo posto preferito. Sarebbe stata lì a vederli combattere per ore, studiando ogni mossa, il modo in cui stavano a cavallo, come maneggiavano le spade, scagliavano le lance, roteavano i mazzafrusti. Quegli uomini uscivano ad allenarsi nonostante il buio che avanzava e la neve che cadeva, anche alla vigilia di un giorno di festa, e tutto perché volevano allenarsi, migliorarsi, perché avrebbero tutti preferito trovarsi sul campo di battaglia piuttosto che fare festa al coperto, come lei. Sentiva che quello era il suo vero popolo.

Un altro gruppo di uomini di suo padre uscì, questi a piedi, e mentre Kyra si avvicinava al cancello con i suoi fratelli, essi si fecero da parte, insieme alla gente, per lasciare spazio a Brandon e Braxton che avanzavano con il loro cinghiale. Fischiarono in ammirazione e si raccolsero attorno a loro. Erano uomini robusti e muscolosi, più alti di trenta centimetri anche rispetto ai suoi fratelli che certo non erano piccoletti. La maggior parte aveva la barba brizzolata di grigio, erano tutti uomini sulla trentina o addirittura quarantina che avevano visto tantissime battaglie e che avevano servito il vecchio re, soffrendo l’oltraggio della sua resa. Uomini che, se fosse stato per loro, non si sarebbero mai arresi. Quelli erano uomini che avevano visto tutto e che non si lasciavano tanto impressionare da nulla, eppure sembravano colpiti da quel cinghiale.

“L’avete ucciso voi, vero?” chiese uno di essi a Brandon avvicinandosi ed esaminandolo.

La folla si infittì e Brandon e Braxton alla fine si fermarono prendendosi gli apprezzamenti e l’ammirazione di quei grandi uomini, cercando di non dare a vedere quanto affannosamente stavano respirando.

“Sì” esclamò Braxton fieramente.

“Un corno nero,” esclamò un altro guerriero avvicinandosi e facendo scorrere la mano sulla schiena dell’animale. “Non ne vedevo uno da quando ero ragazzo. Anche io una volta ho aiutato ad ucciderne uno, ma ero insieme a un gruppo di uomini e due di loro persero delle dita.”

“Beh, noi non abbiamo perso niente,” disse Braxton con orgoglio. “Solo la punta di una lancia.”

Kyra avvampò mentre gli uomini ridevano, chiaramente impressionati dalla preda, mentre un altro guerriero, il loro capo – Anvin – si faceva avanti e osservava con attenzione da vicino l’animale. Gli uomini lo lasciarono passare cedendogli lo spazio in segno di rispetto.

Il comandante di suo padre, Anvin, era il preferito di Kyra tra gli altri uomini: rispondeva solo a suo padre e comandava su quei grandi guerrieri. Anvin era stato come un secondo padre per lei e lei lo conosceva da sempre. Lui le voleva bene, lo sapeva, e faceva sempre attenzione a lei. Cosa più importante, aveva sempre del tempo per lei e le mostrava le tecniche del combattimento con la spada e le armi quando gli altri non c’erano. Le aveva addirittura permesso di allenarsi con gli altri uomini in più di un’occasione e lei aveva apprezzato ogni singolo momento. Era il più tenace di tutti loro ma era anche quello con il cuore più tenero e per questo lei gli piaceva. Ma se non si rientrava tra i suoi preferiti, c’era da avere paura.

Anvin aveva poca tolleranza per le bugie, era il genere di uomo che doveva sempre giungere all’assoluta verità su ogni cosa. Aveva un occhio scrupoloso e quando si fu avvicinato osservò il cinghiale con attenzione. Kyra lo vide fermarsi a guardare le ferite inferte dalle due frecce. Aveva occhio per i dettagli e se c’era qualcuno che poteva vedere la verità, quello era lui.

Anvin osservò le due ferite, ispezionando le piccole punte di freccia ancora conficcate all’interno, i frammenti di legno dove i suoi fratelli avevano spezzato le frecce. Le avevano rotte vicino all’estremità così che nessuno potesse vedere cosa lo aveva veramente abbattuto. Ma Anvin non era uno qualsiasi.

Kyra guardò Anvin che studiava le ferrite, vide che socchiudeva gli occhi e capì che a primo colpo d’occhio aveva capito la verità. Allungò un braccio, si tolse il guanto e mise le dita nell’occhio del cinghiale tirandone fuori la piccola punta di freccia. La tenne in aria, sanguinante, poi lentamente si voltò verso i due fratelli con sguardo scettico.

“Un punta di lancia, vero?” chiese con tono colmo di disapprovazione.

Un teso silenzio calГІ sul gruppo mentre Brandon e Braxton apparivano per la prima volta nervosi. Si muovevano sul posto.

Anvin si voltГІ verso Kyra.

“O una punta di freccia?” aggiunse e Kyra poté quasi vedere gli ingranaggi che gli ruotavano in testa, portandolo alla sua conclusione.

Anvin si avvicinò a Kyra, prese una freccia dalla sua faretra e la portò vicino alla punta di freccia. Erano uguali e tutti potevano constatarlo. Guardò Kyra con orgoglio e lei sentì che tutti gli occhi si puntavano su di lei.

“È stato un tuo tiro, vero?” le chiese. Era un’affermazione più che una domanda.

Lei annuì.

“Sì,” disse con tono inespressivo, adorando Anvin per averla riconosciuta e sentendosi finalmente vendicata.

“Ed è stato il colpo che l’ha abbattuto,” concluse. Era un’osservazione, di nuovo non una domanda, posta con voce forte, definitiva, mentre osservava il cinghiale.

“Non vedo nessun’altra ferita oltre a queste due,” aggiunse facendo scorrere la mano lungo il corpo della bestia e fermandosi vicino all’orecchio. Lo esaminò, poi si voltò verso Brandon e Braxton guardandoli in modo sprezzante. “A meno che non chiamiate ferita questo graffio di lancia qui.”

Sollevò l’orecchio del cinghiale e Brandon e Braxton arrossirono mentre tutti i guerrieri ridevano.

Un altro famoso guerriero si fece avanti: Vidar, grande amico di Anvin, un uomo basso e magro sulla trentina con il viso scarno e una cicatrice sul naso. Con la sua piccola corporatura non sembrava uno del gruppo, ma Kyra lo conosceva bene. Vidar era duro come la roccia, famoso per la sua abilità nel combattimento corpo a corpo. Era uno degli uomini più duri che Kyra avesse mai conosciuto, noto per essere capace di abbattere due uomini grossi il doppio di lui. Troppi uomini, a causa della sua statura minuta, avevano fatto l’errore di provocarlo, per poi imparare la lezione in maniera piuttosto dura. Anche lui aveva preso Kyra sotto la sua ala, sempre protettivo nei suoi confronti.

“Pare che l’abbiano mancato,” concluse Vidar, “e la ragazza li ha salvati. Chi vi ha insegnato a tirare?”

Brandon e Braxton sembravano sempre piГ№ nervosi, chiaramente colti con le mani nel sacco e non erano piГ№ in grado di dire una sola parola.

“È una cosa grave mentire riguardo a una caccia,” disse Anvin rivolgendosi con tono cupo ai due fratelli. “Sputate il rospo ora. Vostro padre vorrà sentire la verità.”

Brandon e Braxton rimasero lì, spostando i piedi da un posto all’altro, chiaramente a disagio, guardandosi come se fossero dibattuti su cosa dire. Per la prima volta Kyra li vedeva incapaci di parlare.

Proprio quando stavano per aprire bocca, improvvisamente una voce sconosciuta spezzГІ il silenzio.

“Non importa chi l’ha ucciso,” disse. “Ora è nostro.”

Kyra si voltò insieme a tutti gli altri, sobbalzando per quella voce rude e poco familiare. Sentì una fitta allo stomaco vedendo un gruppo di uomini del Lord, con le loro caratteristiche armature scarlatte, farsi avanti tra la folla mentre i paesani si spostavano da parte. Si avvicinarono al cinghiale guardandolo avidamente e Kyra capì che volevano quella preda trofeo non perché ne avessero bisogno, ma solo come pretesto per umiliare la sua gente, per strappare loro di mano quel motivo di orgoglio. Accanto a lei Leo ringhiò e lei pose una mano rassicurante sul suo collo trattenendolo.

“Nel nome del vostro Lord governatore,” disse uno degli uomini del Lord, un soldato corpulento, con la fronte bassa, le sopracciglia fitte, la pancia prominente e la faccia demarcata da un’espressione stupida, “reclamiamo questo cinghiale. Vi ringrazia anticipatamente per il vostro regalo in questo giorno di festa.”

Fece un cenno ai suoi uomini e questi si fecero avanti come per afferrare il cinghiale.

Ma subito Anvin avanzГІ, con Vidar al suo fianco, e bloccГІ loro la strada.

Un silenzio stupito velò la folla: nessuno si opponeva mai agli uomini del Lord, era una tacita regola. Nessuno voleva suscitare l’ira di Pandesia.

“Nessuno ha offerto un regalo, per quanto io possa vedere,” disse con voce d’acciaio, “al vostro Lord governatore.”

La folla si fece più fitta, centinaia di abitanti si riunirono a guardare cosa stesse accadendo, percependo che si poteva scatenare un confronto. Contemporaneamente altri arretrarono, creando spazio attorno ai due uomini, mentre la tensione nell’aria si faceva sempre più intensa.

Kyra sentiva il cuore che le batteva in petto. Inconsciamente strinse il pugno sull’arco, sapendo che l’atmosfera era sempre più pesante. Voleva un combattimento tanto quanto la sua libertà, ma sapeva anche che il suo popolo non poteva permettersi di scatenare l’ira del Lord governatore. Anche se per qualche miracolo avessero sconfitto quei soldati, l’Impero pandesiano era di fronte a loro. Avrebbero potuto raggruppare delle divisioni di uomini grandi come il mare.

Eppure allo stesso tempo Kyra era orgogliosa che Anvin si opponesse a loro. Alla fine qualcuno lo faceva.

Il soldato lanciГІ un occhiataccia ad Anvin.

“Osi sfidare il tuo Lord governatore?” gli chiese.

Anvin rimase fermo.

“Quel cinghiale è nostro, nessuno te lo sta dando,” rispose.

“Era vostro,” lo corresse il soldato, “e ora appartiene a noi.” Si voltò verso i suoi uomini. “Prendete il cinghiale,” ordinò.

Gli uomini del Lord si avvicinarono e subito una decina di uomini del padre di Kyra avanzarono in difesa di Anvin e Vidar, bloccando la strada agli uomini del Lord con le mani pronte alle armi.

La tensione si fece così intensa che Kyra strinse l’arco fino a che le nocche le divennero bianche e mentre stava lì si sentiva malissimo, come se in qualche modo fosse lei la responsabile di tutto questo, dato che era stata lei ad uccidere il cinghiale. Sentiva che stava per accadere qualcosa di molto brutto e maledisse i suoi fratelli per aver portato quel cattivo presagio nel loro villaggio, soprattutto nella Luna d’Inverno. Accadevano sempre cose strane in quella festa, un momento mistico nel quale si diceva che i morti fossero capaci di passare da un mondo all’altro. Perché i suoi fratelli avevano dovuto provocare gli spiriti a quel modo?

Mentre gli uomini erano gli uni di fronte agli altri e quelli di suo padre si accingevano a sguainare le spade, tutti così vicini a uno spargimento di sangue, una voce autoritaria improvvisamente squarciò l’aria, tuonando nel silenzio.

“La preda è della ragazza!” disse.

Era una voce forte, piena di sicurezza, una voce che richiedeva attenzione, una voce che Kyra ammirava e rispettava piГ№ di qualunque altra al mondo: la voce di suo padre. Il comandante Duncan.

Tutti gli occhi si voltarono mentre suo padre si avvicinava e la folla si divise lasciandogli un ampio passaggio. Lui stava lì, una montagna d’uomo, due volte più alto degli altri, con spalle molto più ampie, una barba castana e incolta, lunghi capelli striati di grigio, con una pelliccia sulle spalle e due lunghe spade alla cintura, oltre a una lancia dietro alla schiena. La sua armatura, quella nera di Volis, aveva un drago intagliato sul petto, il simbolo della loro casata. Le sue armi erano graffiate e ammaccate dopo moltissime battaglie e da lui traspariva tutta la sua esperienza. Era un uomo da temere, un uomo da ammirare, un uomo che tutti conoscevano come giusto e onesto. Un uomo amato e soprattutto rispettato.

“È la preda di Kyra,” ripeté, guardando con disapprovazione i due figli e poi voltandosi a guardare Kyra, ignorando gli uomini del Lord. “Sta a lei decidere il suo destino.”

Kyra era scioccata dalle parole di suo padre. Non se lo sarebbe mai aspettato, non avrebbe mai creduto che lui le mettesse tra le mani una tale responsabilità, che le lasciasse una decisione così difficile. Perché non si trattava solo di decidere del cinghiale, ma del destino del proprio popolo.

I soldati si allinearono da entrambe le parti, tutti con le mani alle spade, e mentre lei guardava tutti i volti che si giravano verso di lei, tutti in attesa della sua risposta, capì che la prossima decisione, le sue prossime parole, sarebbero state le più importanti che avesse mai pronunciato.




CAPITOLO QUATTRO


Merk percorreva lentamente il sentiero nella foresta facendosi strada verso Boscobianco e riflettendo sulla sua vita. I suoi quarant’anni erano stati difficili: non si era mai preso prima d’ora il tempo di camminare attraverso un bosco e di ammirare la bellezza che aveva attorno. Guardava le foglie bianche che scricchiolavano sotto i piedi, ascoltava il rumore del suo bastone che picchiettava il soffice suolo della foresta. Sollevò lo sguardo e ammirò la bellezza degli alberi di Esopo, con le loro foglie bianche e luccicati e rami rossi che brillavano alla luce del sole. Le foglie cadevano piovendogli attorno come neve e per la prima volta nella sua vita provò un reale senso di pace.

Di altezza e corporatura media, con capelli neri e la barba sempre incolta, la mascella larga, gli zigomi lunghi e marcati e grandi occhi neri segnati dalle occhiaie, Merk aveva sempre l’aspetto di uno che non dormiva da giorni. Ed era anche sempre così che si sentiva. A parte adesso. Finalmente adesso si sentiva riposato. Qui a Ur, nell’angolo nord-occidentale di Escalon non c’era neve. Le brezze temperate che venivano dall’oceano, ad appena un giorno di viaggio verso occidente, assicuravano un tempo più mite e permettevano alle foglie di ogni colore di rigogliare. Permettevano anche a Merk di stare lì con solo un mantello addosso, senza bisogno di trovare riparo dai venti gelidi, come per la maggiore si faceva ad Escalon. Si stava già abituando all’idea di indossare un mantello invece di un’armatura, di portare un bastone invece di una spada, di picchiettare le foglie con il suo bastone invece di infilzare avversari con un pugnale. Era tutto nuovo per lui. Stava cercando di vedere come si stava nei panni di quella nuova persona che ora desiderava essere. Era una sensazione di pace, ma strana. Come se stesse fingendo di essere qualcuno che non era.

PerchГ© Merk non era in viaggiatore e neppure un uomo pacifico. Nel suo sangue era ancora un guerriero. E non un guerriero qualsiasi: lui era un uomo che combatteva secondo le sue regole e che non aveva mai perso una battaglia. Era un uomo che non aveva paura di portare le sue battaglie dalla corsia dei tornei fino ai vicoli delle taverne che amava frequentare. Era ciГІ che molti amavano chiamare un mercenario. Un assassino. Una spada in affitto. Aveva molti nomi, alcuni anche meno adulatori, ma a Merk non importavano le etichette, nГ© cosa la gente pensasse. Tutto ciГІ che gli importava era che lui era uno dei migliori.

Merk, per assecondare il proprio ruolo, era passato lui stesso da un nome all’altro cambiandoli a suo piacimento. Non gli piaceva il nome che suo padre gli aveva dato – del resto non gli piaceva neppure suo padre – e non aveva intenzione di trascorrere la sua vita con il nome affibbiatogli da qualcun altro. Merk era il nome più frequente da lui utilizzato e gli piaceva, per adesso. Non gli interessava come lo chiamassero gli altri. Solo due cose gli importavano nella vita: trovare il punto giusto per la punta del suo pugnale e che chi lo assoldava lo pagasse con oro fresco, e con tanto anche.

Merk aveva scoperto da giovane di avere un dono naturale, di essere superiore agli altri in ciГІ che faceva. I suoi fratelli, come suo padre e tutti i suoi famosi antenati, erano fieri e nobili cavalieri, indossavano le migliori armature, maneggiavano le migliori armi, incedendo baldanzosamente a cavallo e facendo sventolare i loro stendardi insieme ai loro capelli fluenti: vincevano le competizioni mentre le dame gettavano fiori ai loro piedi. Non avrebbero potuto essere piГ№ orgogliosi di se stessi.

Ma Merk odiava lo sfarzo e le luci della ribalta. Quei cavalieri erano sembrati tutti impacciati nell’uccidere, ampiamente inefficienti, e Merk non li rispettava. E neppure aveva bisogno del riconoscimento, di insegne e stendardi o della copertura d’armi che i cavalieri desideravano così ardentemente. Quella era roba per gente cui mancava ciò che contava di più: la capacità di prendere la vita di un uomo, velocemente e in silenzio, con efficacia. Nella sua mente non c’era nient’altro di cui valesse la pena di parlare.

Quando era giovane e i suoi amici, troppo piccoli per difendersi, erano stati presi di mira, erano andati da lui – che già era noto per essere eccezionale con la spada – e lo avevano pagato perché li difendesse. I loro persecutori non li avevano più tormentati e Merk aveva fatto quel passo in avanti. La voce della sua abilità si era diffusa velocemente e mentre lui accettava sempre più pagamenti le sue doti nell’uccidere si affinavano.

Merk avrebbe potuto diventare un cavaliere, un guerriero celebrato come i suoi fratelli. Ma aveva invece scelto di lavorare nell’ombra. Vincere era ciò che gli interessava, l’efficienza letale. Aveva scoperto rapidamente che i cavalieri, nonostante tutte le bellissime armi e le armature possenti, non erano in grado di uccidere velocemente ed efficacemente come lui, un uomo solo con una camicia di pelle e un pugnale affilato.

Mentre camminava, calpestando le foglie con il bastone, gli venne in mente una notte alla taverna con i suoi fratelli, quando erano state sguainate le spade contro cavalieri rivali. I suoi fratelli erano stati circondati, in minoranza numerica, e mentre tutti i cavalieri decorati facevano cerimonie, lui non aveva esitato. Era sfrecciato attraverso il vicolo con il suo pugnale e aveva tagliato la gola a tutti quanti prima che potessero sguainare la spada.

I suoi fratelli avrebbero dovuto ringraziarlo per le aver salvato loro la vita, invece avevano tutti preso le distanze da lui. Avevano paura di lui e lo guardavano dall’alto al basso. Quella era la gratitudine che aveva ricevuto e quel tradimento lo aveva ferito più che mai. Avevano acuito la frattura tra loro con tutta quella nobiltà e cavalleria. Ai suoi occhi era tutta ipocrisia, egocentrismo: potevano andarsene con le loro armature scintillanti e guardarlo dall’alto al basso, ma se non fosse stato per lui e il suo pugnale, quel giorno sarebbero tutti morti in quel vicolo.

Merk continuava a camminare, sospirando e cercando di dimenticare il passato. Mentre rifletteva, si rese conto che non capiva veramente la fonte del suo talento. Forse era semplicemente dovuto alla sua velocità e agilità; forse era così bravo perché era veloce con mani e polsi; forse perché aveva uno speciale talento nel trovare i punti vitali di un uomo; forse perché non esitava mai nel fare quel passo in più, nel dare quell’ultima spinta di cui gli altri avevano paura; forse perché a lui non serviva colpire due volte o forse perché sapeva improvvisare, sapeva uccidere con ogni strumento avesse a disposizione, scalpello, martello o vecchio pezzo di legno. Era più abile degli altri, più adattabile e veloce sui piedi: una combinazione letale.

Crescendo tutti quei fieri cavalieri avevano preso le distanze da lui, lo avevano addirittura preso in giro alle sue spalle (nessuno gli avrebbe detto quelle cose in faccia). Ma ora che erano più grandi, mentre i loro poteri tramontavano e la sua fama si allargava, lui era l’unico ad essere arruolato dai re, mentre loro erano stati tutti dimenticati. Perché ciò che i suoi fratelli non avevano mai capito era che la cavalleria non era ciò che rendeva tale un re. Era la violenza pura e brutale, la paura, l’eliminare i nemici, uno alla volta, quell’uccidere raccapricciante che nessuno voleva mettere in atto: questo faceva un re. Ed era a lui che si rivolgevano quando volevano che venisse compiuto il vero lavoro da re.

A ogni colpo del bastone, Merk ricordava ognuna delle sue vittime. Aveva ucciso il piГ№ temibili avversari del re, e non con il veleno:В  per questo portavano con sГ© i gretti assassini, i farmacisti, le seduttrici. Volevano spesso che i peggiori venissero uccisi con una dichiarazione, e per questo avevano bisogno di lui. Qualcosa di truce, qualcosa di pubblico: un pugnale in un occhio, un corpo abbandonato in una piazza, penzolante da una finestra in modo che tutti lo vedessero al sorgere del sole, perchГ© tutti se ne meravigliassero vedendo cosa accadeva a chi si ribellava al re.

Quando il vecchio re Tarnis si era arreso e aveva ceduto il regno, aprendo le porte di Pandesia, Merk si era sentito svuotato, senza più uno scopo per la prima volta nella sua vita. Senza un re da servire si era trovato alla deriva. Qualcosa che aveva covato per tanto tempo dentro di sé era venuto in superficie e per qualche motivo che non capiva aveva iniziato a porsi domande sulla sua vita. Tutta la sua vita era stata ossessionata dalla morte, dall’uccidere, dal rubare la vita degli altri. Era diventato facile, troppo facile. Ma ora qualcosa dentro di lui stava cambiando: era come se facesse fatica a sentire il terreno saldo sotto i piedi. Aveva sempre saputo, da subito, quanto effettivamente era fragile, quanto facilmente avrebbe potuto morire. Ma ora iniziava a chiedersi come preservarsi. La vita era così fragile, quindi conservarla non era forse una sfida più grande che portarla via?

E nonostante tutto iniziГІ a chiedersi quale fosse la cosa che lui stava portando via agli altri.

Merk non sapeva come questa personale riflessione avesse avuto inizio, ma lo metteva profondamente a disagio. Qualcosa era emerso da lui, un forte senso di malessere, ed era diventato nauseato dall’uccidere, aveva sviluppato un disgusto pari al piacere che un tempo aveva provato. Avrebbe voluto che ci fosse una cosa sulla quale potersi concentrare che riuscisse ad allontanarlo da tutte quelle riflessioni – magari l’uccisione di una particolare persona – ma non c’era. Quel malessere gli era scivolato addosso senza un motivo. E questa era la cosa che maggiormente gli dava fastidio.

Diversamente da altri mercenari, Merk aveva accettato solo missioni nelle quali credeva. Era stato solo piГ№ tardi nella sua vita che era diventato eccellente in ciГІ che faceva, che i pagamenti erano diventati troppo ingenti, la gente che si rivolgeva a lui troppo importante e lui aveva iniziato a sfumare i contorni, ad uccidere anche coloro che non avevano necessariamente la colpa. Ed era questo che lo disturbava.

Merk stava sviluppando una forte passione e desiderio di sciogliere tutto ciò che aveva fatto, di provare agli altri che poteva cambiare. Voleva spazzare via il suo passato, riportare indietro tutto ciò che aveva fatto, fare penitenza. Aveva fatto un solenne giuramento con se stesso di non uccidere mai più, di non sollevare più un solo dito contro chiunque, di trascorrere il resto della sua vita chiedendo perdono a Dio, di dedicare se stesso all’aiutare gli altri, di diventare una persona migliore. Ed era tutto questo che lo aveva condotto su quel sentiero nella foresta che proprio adesso stava percorrendo appoggiato al suo bastone.

Merk vide il sentiero che saliva davanti a lui e poi si avvallava, brillando per le foglie bianche. Controllò l’orizzonte in cerca della Torre di Ur: ancora nessuna traccia. Sapeva che alla fine quel sentiero l’avrebbe condotto lì: un pellegrinaggio che lo teneva impegnato ormai da mesi. Era stato attratto, fin da ragazzo, dai racconti dei Sorveglianti, l’ordine chiuso dei monaci/cavalieri, parte uomini e parte qualcos’altro, il cui lavoro consisteva nel risiedere nelle due torri – la Torre di Ur a nord-est e la Torre di Kos a sud-est – e sorvegliare la più preziosa reliquia del regno: la Spada di Fuoco. La leggenda narrava che fosse la Spada di Fuoco a mantenere vive Le Fiamme. Nessuno sapeva per certo in quale torre si trovasse, un segreto conservato gelosamente e conosciuto da nessuno se non dagli antichi Sorveglianti. Se fosse mai stata spostata, o rubata, Le Fiamme sarebbero andate perdute per sempre ed Escalon sarebbe diventata vulnerabile all’attacco.

Si diceva che sorvegliare le torri fosse un compito elevato, un compito sacro e onorabile, se si veniva accettati dai Sorveglianti. Merk aveva sempre sognato i Sorveglianti da ragazzo; era andato a letto di sera chiedendosi come sarebbe stato unirsi a loro. Voleva perdersi nella solitudine, nel servizio, nella riflessione personale, e sapeva che non c’era modo migliore per farlo che diventare un Sorvegliante. Merk si sentiva pronto. Aveva barattato la sua cotta di ferro per della pelle, la spada con un bastone e per la prima volta nella sua vita aveva passato un buon ciclo lunare senza uccidere o dare la caccia a un’anima. Iniziava a sentirsi bene.

Valicando una piccolo collina guardò oltre, speranzoso come era ormai da giorni, che quella cima gli potesse rivelare la Torre di Ur da qualche parte all’orizzonte. Ma non si vedeva ancora nulla, nient’altro che boschi che si distendevano a perdita d’occhio. Eppure sapeva che si stava avvicinando: dopo così tanti giorni di cammino la torre non poteva più essere tanto distante.

Merk continuò a percorrere il sentiero in discesa: il bosco si fece sempre più fitto fino a che, in fondo, giunse a un’enorme albero che sbarrava il cammino. Si fermò a guardarlo, ammirandone la stazza e dibattuto se farne il giro o meno.

“Direi che fino a qui è abbastanza distante,” disse una voce sinistra.

Merk riconobbe immediatamente l’intenzione malvagia nella voce, qualcosa di cui aveva fatto esperienza, e non ebbe neppure bisogno di voltarsi per capire cosa stava per accadere. Udì le foglie scricchiolare tutt’attorno a lui e dal bosco emersero dei volti che ben si abbinavano con la voce: tagliagole, uno dall’aspetto più disperato dell’altro. Erano le facce di uomini che uccidevano senza motivo. Le facce di ladri e assassini comuni che assaltavano a caso i deboli con violenza inaudita. Agli occhi di Merk erano la feccia più bassa in assoluto.

Merk vide che era circondato e capì di essere finito in una trappola. Si diede rapidamente un’occhiata attorno senza farlo intendere a loro, spinto dal suo vecchio istinto, e ne contò otto. Tenevano tutti in mano un pugnale, erano tutti vestiti di stracci, con le facce, le mani e le unghie sporche, tutti con la barba incolta, tutti con un aspetto disperato che dava a vedere che da troppi giorni non mangiavano molto. E che erano annoiati.

Merk si irrigidì mentre il capo dei ladri si avvicinava. Non certo per paura: Merk poteva ucciderlo, poteva ucciderli tutti senza battere ciglio se voleva. Ciò che lo innervosiva era la possibilità di essere costretto alla violenza. Era determinato a mantenere il suo giuramento a qualsiasi costo.

“E qui cosa abbiamo,” chiese uno di essi avvicinandosi accerchiando Merk.

“Sembra un monaco,” disse un altro con voce derisoria. “Ma quegli stivali non centrano nulla.”

“Magari è un monaco che pensa di essere un soldato,” rise un altro.

Scoppiarono tutti a ridere e uno di essi, un omone sulla quarantina senza un dente incisivo, si chinГІ alitandogli in faccia il suo fiato fetido e gli diede un colpo alla spalla. Il vecchio Merk avrebbe ucciso qualsiasi uomo gli si fosse avvicinato anche solo della metГ .

Ma ora il nuovo Merk era determinato ad essere un uomo migliore, ad essere superiore alla violenza, anche se quella sembrava cercarlo. Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, sforzandosi di restare calmo.

Non tornare alla violenza, si disse e ripetГ© piГ№ volte.

“Cosa fa questo monaco?” chiese uno di essi. “Prega?”

Scoppiarono tutti a ridere di nuovo.

“Il tuo dio non ti salverà adesso, amico!” esclamò un altro.

Merk aprì gli occhi e fissò il bifolco.

“Non ho intenzione di farvi del male,” disse con calma.

Le risate si levarono piГ№ forti di prima e Merk si rese conto che stare calmo e non reagire violentemente era la cosa piГ№ difficile che avesse mai fatto.

“Fortunati insomma!” rispose uno di essi.

Risero ancora, poi fecero silenzio mentre il capo si faceva avanti e si portava faccia a faccia con Merk.

“Ma forse,” disse con voce seria, così vicino che Merk poteva sentire il suo alito cattivo, “siamo noi a volerti fare del male.”

Un uomo si avvicinò a Merk, gli mise un braccio nerboruto attorno alla gola e iniziò a stringere. Merk ansimò sentendosi soffocare, la morsa abbastanza forte da fargli provare dolore, ma non tanto da togliergli l’aria del tutto. Il suo riflesso immediato sarebbe stato quello di allungare un braccio indietro e uccidere quell’uomo. Sarebbe stato facile: conosceva il punto preciso di pressione nell’avambraccio per fargli mollare la presa. Ma si sforzò di non farlo.

Lasciali passare, disse fra sé e sé. La strada verso l’umiltà deve iniziare da qualche parte.

Merk guardГІ il loro capo.

“Prendimi quello che ti pare,” gli disse ansimando. “Prendi e andatevene per la vostra strada.”

“E se ce lo prendessimo e rimanessimo qui?” rispose quello.

“Nessuno ti sta chiedendo cosa possiamo o non possiamo prendere,” sottolineò un altro.

Uno di essi si avvicinò e frugò nella sacca di Merk, rovistando con mani avide tra i pochi effetti personali che gli erano rimasti al mondo. Merk si sforzò di stare calmo mentre le mani passavano tra ogni cosa di sua proprietà. Alla fine estrassero un pugnale d’argento decorato, la sua arma preferita. Ancora, pure a fatica, Merk non reagì.

Lascia perdere, si disse.

“E questo cos’è?” chiese uno di loro. “Un pugnale?”

GuardГІ Merk.

Cosa ci fa una specie di monaco come te con un pugnale?” chiese un altro.

“Cosa ci fai amico? Intagli gli alberi?” chiese un altro.

Risero tutti e Merk digrignГІ i denti chiedendosi quanto ancora potesse resistere.

L’uomo che aveva preso il pugnale si fermò e guardò il braccio di Merk tirandogli su la manica. Merk si preparò, rendendosi conto che lo avevano scoperto.

“Cos’è questo?” chiese il ladro stringendogli il polso e tenendoglielo stretto, osservandolo.

“Assomiglia a una volpe,” disse un altro.

“Cosa ci fa un monaco con il tatuaggio di una volpe?” chiese un altro ancora.

Si fece avanti un uomo alto e magro con i capelli rossi, gli afferrГІ il polso e lo guardГІ attentamente da vicino. Lo lasciГІ andare a guardГІ Merk con occhi carichi di sospetto.

“Non è una volpe, idioti,” disse ai suoi uomini. “È un lupo. È il marchio degli uomini del re. Un mercenario.”

Merk si sentì avvampare in volto rendendosi conto che stavano guardando il suo tatuaggio. Non voleva essere scoperto.

I ladri rimasero in silenzio, fissando il marchio, e per la prima volta Merk percepì l’esitazione sui loro volti.

“È l’ordine degli assassini,” disse uno di essi, poi lo guardò. “Come ti sei fatto quel segno, amico?”

“Probabilmente da solo,” rispose un altro. “Per rendersi la strada più sicura.”

Il capo fece un cenno ai suoi uomini che lasciarono la presa dalla gola di Merk, lui quindi respirò profondamente, sollevato. Ma poi il capo allungò un braccio e gli premette un coltello contro la gola. Merk si chiese se sarebbe morto lì, quel giorno, in quel luogo. Si chiese se sarebbe stata la punizione per tutti gli assassinii che aveva commesso. Si chiese se era pronto a morire.

“Rispondi,” ringhiò il capo. “Te lo sei fatto da solo, ragazzo? Si dice che si debbano uccidere cento uomini per ottenere quel marchio.”

Merk respirò, e nel lungo silenzio che seguì si sentì dibattuto su cosa dire. Alla fine sospirò.

“Mille,” disse.

L’uomo sbatté le palpebre confuso.

“Cosa?” chiese.

“Mille uomini,” spiegò Merk. “Così si ottiene questo tatuaggio. Me lo ha fatto re Tarnis in persona.”

Tutti lo guardarono scioccati e un lungo silenzio calГІ nel bosco. Si potevano addirittura sentire i versi degli insetti. Si chiese cosa sarebbe successo poi.

Uno di essi iniziò a ridere istericamente, subito imitato da tutti gli altri. Ridevano di gusto mentre Merk rimaneva lì, chiaramente pensando che fosse la cosa più divertente che avevano mai sentito.

“Questa è buona, amico,” disse uno di essi. “Sei un bravo bugiardo, oltre che un bravo monaco.”

Il capo spinse il coltello contro la sua gola abbastanza forte da far sgorgare del sangue.

“Ti ho detto di rispondermi,” ripeté. “Una risposta vera. Vuoi morire subito, amico?”

Merk stava lì, sentendo il dolore e pensando all’ultima domanda, pensandoci sul serio. Voleva morire? Era una buona domanda, ancora più profonda di quanto il ladro potesse immaginare. Mentre ci pensava con estrema serietà, si rese conto che una parte di lui voleva morire. Era stanco della vita, stanco morto.

Ma mentre ci rimuginava sopra, Merk si rese infine conto che non era pronto a morire. Non ora. Non quel giorno. Non adesso che era pronto a ricominciare daccapo. Non adesso che iniziava a godersi la vita. Voleva una possibilitГ  per cambiare. Voleva una possibilitГ  di servire la Torre. Di diventare un Sorvegliante.

“No, veramente no,” rispose.

Alla fine guardГІ il suo aguzzino dritto negli occhi, con una certa risoluzione che cresceva in lui.

“E per questo,” continuò, “ti darò una possibilità di lasciarmi andare prima che vi uccida tutti.”

Tutti lo guardarono in uno scioccato silenzio, prima che il capo si facesse torvo in volto e scattasse in azione.

Merk sentì la lama che iniziava a tagliargli la gola e qualcosa in lui prese il sopravvento. Era la parte professionale di lui, quella che aveva allenato per tutta la vita, la parte di lui che non poteva sopportare oltre. Significava spezzare il suo giuramento, ma non gli interessava più.

Il vecchio Merk tornГІ con tale rapiditГ , come se non fosse mai svanito, e in un battito di ciglia si ritrovГІ nuovamente in modalitГ  assassino.

Merk si concentrГІ e vide tutti i movimenti dei suoi avversari, ogni tic, ogni punto di pressione, ogni elemento vulnerabile. Il desiderio di ucciderli ebbe il sopravvento su di lui, come un vecchio amico, e Merk gli permise di guidarlo.

Con una mossa fulminea afferrò il polso del capo, affondò le dita in un punto di pressione, schiacciò fino a sentirlo scricchiolare, poi afferrò il pugnale mentre cadeva e con un movimento rapido tagliò la gola dell’uomo da orecchio a orecchio.

Il capo lo guardГІ con espressione sbigottita prima di afflosciarsi al suolo, morto.

Merk si voltГІ verso gli altri e tutti lo guardarono impressionati, a bocca aperta.

Ora toccava a lui sorridere, mentre li guardava tutti godendo di ciГІ che stava per accadere.

“A volte, ragazzi,” disse, “semplicemente si fa casino con la persona sbagliata.”




CAPITOLO CINQUE


Kyra si trovava al centro del ponte affollato sentendosi tutti gli occhi puntati addosso, tutti in attesa della sua decisione sul destino del cinghiale. Le sue guance erano rosse: non le piaceva trovarsi al centro dell’attenzione. Amava però suo padre per averla riconosciuta e provava un forte senso di orgoglio, soprattutto perché aveva rimesso la decisione a lei.

Ma allo stesso tempo sentiva anche il peso di una forte responsabilità. Sapeva che qualsiasi scelta avesse preso avrebbe deciso il destino del suo popolo. Per quanto detestasse i Pandesiani, non voleva la responsabilità di gettare la sua gente in una guerra che non potevano vincere. Però non voleva neanche tirarsi indietro e rinvigorire così gli uomini del Lord, mandando in disgrazia il suo popolo e facendolo apparire debole, soprattutto dopo che Anvin e gli altri avevano così coraggiosamente resistito.

Si rendeva conto che suo padre era saggio: mettendo la decisione nelle sue mani aveva fatto in modo che sembrasse che la decisione fosse loro, non degli uomini del Lord, e che solo quel gesto avesse salvato la faccio al suo popolo. Si rese anche conto che aveva lasciato a lei la decisione per un altro motivo: doveva sapere che quella situazione richiedeva una voce estranea perché entrambe le parti si salvassero la faccia, e aveva scelto lei perché era conveniente, perché sapeva che non era una tipa avventata, che era la voce della moderazione. Più ci pensava e più capiva che questo era il motivo per cui l’aveva scelta: non per incitare alla guerra – altrimenti avrebbe scelto Anvin – ma per trarre il suo popolo d’impaccio.

Kyra giunse a una decisione.

“La bestia è maledetta,” disse con tono sprezzante. “Il cinghiale ha quasi ucciso i miei fratelli. Viene dal Bosco di Spine ed è stato ucciso alla vigilia della Luna d’Inverno, un giorno in cui ci è vietato cacciare. È stato un errore portarlo attraverso i cancelli: avremmo dovuto lasciarlo a marcire nel bosco, il luogo cui appartiene.”

Si voltГІ con tono derisorio verso gli uomini del Lord.

“Portatelo al vostro Lord governatore,” disse sorridendo. “Ci fate un favore.”

Gli uomini del Lord spostarono lo sguardo da lei alla bestia e la loro espressione mutГІ: ora apparivano come se fossero stati morsi da qualcosa di marcio, come se non lo volessero piГ№.

Kyra vide che Anvin e gli altri la guardavano con espressione di approvazione, di gratitudine, suo padre più di tutti.  Ce l’aveva fatta: aveva permesso alla sua gente di salvare la faccia, aveva risparmiato loro una guerra ed era riuscita a beffare nello stesso tempo Pandesia.

I suoi fratelli lasciarono cadere il cinghiale a terra. Esso atterrГІ sulla neve con un tonfo e loro si fecero indietro, umiliati, le spalle chiuse.

Tutti gli occhi erano ora puntati sugli uomini del Lord che stavano lì non sapendo cosa fare. Chiaramente le parole di Kyra aveva colpito nel segno: ora guardavano la bestia come se fosse qualcosa di orrendo trascinato fuori dalle viscere dell’inferno. Era evidente che non lo volevano più. E ora che apparteneva loro, sembravano aver perso ogni desiderio di possederlo.

Il loro comandante, dopo un lungo e teso silenzio, alla fine fece cenno ai suoi uomini di raccogliere la bestia. Poi si voltarono e se ne andarono, chiaramente seccati, come se avessero capito che erano stati beffati.

La folla si disperse, la tensione svanì e si percepì subito un senso di sollievo. Molti degli uomini di suo padre le si avvicinarono guardandola con approvazione e posandole una mano sulla spalla.

“Ben fatto,” disse Anvin. “Un giorno sarai un’ottima sovrana.”

Il popolo del villaggio si disperse e ognuno tornò per la sua strada; la frenesia riprese, la tensione si dissolse e Kyra si voltò cercando gli occhi di suo padre. Lo trovò intento a guardarla a pochi passi da lei. Di fronte ai suoi uomini era sempre riservato quando si trattava di lei e questa volta non fu diverso: aveva un’espressione differente, ma le fece un cenno quasi impercettibile, un cenno che lei sapeva essere di approvazione.

Kyra guardГІ oltre e vide Anvin e Vidar che stringevano le loro lance e il suo cuore accelerГІ.

“Posso venire con voi?” chiese ad Anvin, sapendo che era diretto verso il campo da allenamento come il resto degli uomini di suo padre.

Anvin lanciò un’occhiata nervosa a suo padre, sapendo che non avrebbe approvato.

“La neve si stava facendo più fitta,” rispose esitante. “E si sta anche facendo buio.”

“Ma questo certo non vi ferma,” ribatté Kyra.

Lui sorrise.

“No, è vero,” ammise.

Anvin guardò ancora il padre di Kyra e voltandosi lei lo vide scuotere la testa prima di girarsi e tornare all’interno.

Anvin sospirГІ.

“Stanno preparando grandiosi festeggiamenti,” le disse. “È meglio che tu vada dentro.”

Kyra poteva sentirne il profumo, l’aria era pregna dell’odore di carne arrosta e lei vide i suoi fratelli girarsi e dirigersi verso l’interno insieme a decine di paesani, tutti che si affrettavano a preparare la festa.

Ma Kyra si voltГІ e guardГІ bramosamente verso i campi, verso i terreni da esercitazione.

“Un pasto può aspettare,” disse. “L’allenamento no. Lasciatemi venire con voi.”

Vidar sorrise e scosse la testa.

“Sei sicura di essere una ragazza e non un guerriero?” le chiese.

“Non posso essere entrambe le cose?” rispose.

Anvin fece un profondo sospiro e alla fine scosse la testa.

“Tuo padre mi farebbe scorticare,” disse.

Ma alla fine annuì.

“Non accetterai mai un no come risposta,” concluse, “e hai più cuore tu della metà dei miei uomini. Immagino che potremo accettare un altro membro.”


*

Kyra correva nel mezzo del paesaggio ammantato di neve, seguendo Anvin, Vidar e numerosi uomini di suo padre, con Leo sempre al suo fianco. La nevicata di stava facendo più intensa, ma lei non se ne curava. Provava un senso di libertà, di esaltazione, come sempre quando oltrepassava il Cancello del Combattente, un basso arco intagliato nelle pareti di pietra che contornavano il campo da allenamento. Respirò profondamente quando il cielo si aprì e lei entrò di corsa in quel luogo che amava più di qualsiasi altro al mondo, con le sue dolci colline ora ricoperte di neve, incasellato tra le mura di pietra che si allungavano forse per quattrocento metri su ogni lato. Sentiva che tutto era come avrebbe dovuto, vedendo gli uomini che si allenavano, che si incrociavano in sella ai loro cavalli, brandendo le lance e mirando a bersagli distanti o scontrandosi tra loro. Questa era vita per lei.

Quel terreno da allenamento era riservato agli uomini di suo padre: alle donne non era permesso entrarvi, né ai ragazzi che non avessero ancora raggiunto l’età di diciotto anni e che non vi fossero stati invitati. Brandon e Braxton attendevano impazientemente ogni giorno di essere convocati, ma Kyra sospettava che non sarebbe mai accaduto. Il Cancello del Combattente era per persone d’onore, guerrieri rafforzati dalla battaglia, non per palloni gonfiati come i suoi fratelli.

Kyra correva in mezzo al prato sentendosi più felice e viva qui che in qualsiasi altro posto sulla faccia della terra. L’energia era intensa, il luogo era gremito da decine dei migliori guerrieri di suo padre, tutti con armature leggermente diverse, guerrieri provenienti da ogni regione di Escalon, tutti gravitati lì nel corso del tempo, all’interno del forte di suo padre. C’erano uomini che venivano dal sud, da Thebus e Leptis; dalle terre di mezzo, soprattutto dalla capitale Andros, ma anche dalle montagne di Kos; c’erano occidentali di Ur, uomini di fiume da Thusis e anche i loro vicini da Esephus. C’erano uomini che vivevano vicino al Lago di Ire e uomini che provenivano da lontano, addirittura dalle cascate di Everfall. Indossavano tutti diversi colori, diverse armature e armi, tutti uomini di Escalon ma ciascuno rappresentante di una specifica roccaforte. Era una stupefacente esibizione di potere.

Suo padre, il campione del precedente re, un uomo che incuteva grande rispetto, era l’unico uomo di quei tempi, in quel regno fratturato, attorno al quale gli uomini potessero raccogliersi. In effetti quando il vecchio re aveva ceduto il suo regno senza combattere, era stato a suo padre colui a cui il popolo si era rivolto perché prendesse il trono e conducesse la battaglia. Nel tempo i migliori guerrieri del re precedente lo avevano cercato e ora, con l’esercito che diveniva ogni giorno più grande, Volis stava raggiungendo una forza che poteva quasi rivaleggiare con la capitale. Kyra si rendeva conto che forse era per questo che gli uomini del Lord sentivano la necessità di umiliarli.

In qualsiasi altro luogo di Escalon i Lord governatori di Pandesia non permettevano ai cavalieri di unirsi, non concedevano tali libertГ , per paura di una rivolta. Ma qui a Volis era diverso. Qui non avevano scelta: dovevano per forza permetterlo perchГ© avevano bisogno dei migliori uomini per mantenere Le Fiamme.

Kyra si voltò a guardare, oltre le mura, oltre le ondeggianti colline bianche, in lontananza, all’orizzonte, anche attraverso la nevicata, dove – anche se a malapena – si poteva scorgere il lieve bagliore di Le Fiamme. Il muro di fuoco che proteggeva i confini orientali di Escalon – Le Fiamme – un muro di fuoco spesso quindici metri e altro diverse decine, ardeva con brio come sempre, illuminando la notte. Il loro contorno era visibile all’orizzonte e si faceva più evidente quando calava il buio. Allungandosi di quasi ottanta chilometri, Le Fiamme erano l’unica barriera frapposta tra Escalon e la nazione dei selvaggi troll dell’est.

Anche con queste condizioni parecchi troll irrompevano all’interno ogni anno scatenando il caos, ma se non fosse stato per i Guardiani – i coraggiosi uomini di suo padre che sorvegliavano Le Fiamme, Escalon sarebbe stata una nazione schiava dei troll. I troll, che avevano paura dell’acqua, potevano attaccare Escalon solo via terra e Le Fiamme erano l’unico mezzo per tenerli a bada. I Guardiani sorvegliavano la barriera a turni, pattugliavano a rotazione e Pandesia aveva bisogno di loro. Altri girovagavano nei pressi di Le Fiamme – reclute, schiavi e criminali – ma gli uomini di suo padre, i Guardiani, erano gli unici veri soldati del gruppo e gli unici che sapevano come mantenere Le Fiamme.

In cambio Pandesia concedeva a Volis e ai suoi uomini molte piccole libertà, come quei campi per gli allenamenti e armi vere. Era un piccolo assaggio di libertà che li faceva sentire ancora veri guerrieri, anche se era solo un’illusione. Non erano uomini liberi e tutti lo sapevano. Vivevano in un precario equilibrio tra libertà e schiavitù che non andava giù a nessuno.

Ma qui almeno, al Cancello del Combattente, questi uomini erano liberi come un tempo, guerrieri che potevano competere, allenarsi e affinare le loro abilità. Rappresentavano il meglio di Escalon, erano i guerrieri migliori che Pandesia avesse da offrire, tutti veterani de Le Fiamme, e tutti impegnati nei turni lì, ad appena un giorno di viaggio di distanza. Ciò che Kyra voleva più di ogni cosa era entrare a far parte dei loro ranghi, mettersi alla prova, essere collocata di servizio a Le Fiamme, combattere contro veri troll che attraversavano e aiutare a proteggere il regno dall’invasione.

Ovviamente sapeva che non le sarebbe mai stato permesso. Era troppo giovane per essere reclutata ed era una ragazza. Non c’erano altre ragazze nei ranghi e anche se ce ne fossero state, suo padre non gliel’avrebbe mai permesso. Anche i suoi uomini l’avevano guardata come una bambina quando aveva iniziato a fare loro visita anni fa. Erano divertiti dalla sua presenza, come una spettatrice che stava a guardare. Ma dopo che gli uomini se n’erano andati lei era rimasta, da sola, allenandosi ogni giorno e ogni notte nei campi vuoti, usando le loro armi e i loro bersagli. Inizialmente si erano sorpresi arrivando il giorno seguente e trovando segni di frecce nei loro bersagli, ancora più stupiti quando quei segni erano al centro. Ma nel tempo vi si erano abituati.

Kyra aveva iniziato a guadagnarsi il loro rispetto, soprattutto nelle rare occasioni in cui le era stato permesso di unirsi a loro. A tutt’oggi, dopo due anni, tutti sapevano che lei era capace di colpire i bersagli che la maggior parte di essi non era in grado di raggiungere, e la loro tolleranza nei suoi confronti si era trasformata in qualcos’altro: rispetto. Ovviamente lei non aveva combattuto in battaglia, come quegli uomini; non aveva mai ucciso un uomo né era stata di guardia a Le Fiamme, neppure aveva incontrato un troll in battaglia. Non era in grado di far roteare una spada, un’ascia da guerra o un’alabarda, né combattere corpo a corpo come facevano quegli uomini. Non aveva per niente la loro forza fisica e la cosa le dispiaceva immensamente.

Ma Kyra aveva capito di avere un’abilità naturale con due armi, ciascuna delle quali la rendeva, nonostante la sua corporatura e il suo sesso, un avversario formidabile: il suo arco e il suo bastone. Il primo lo aveva acquisito naturalmente, mentre nel secondo era incappata accidentalmente, lune prima, quando si era trovata a non poter sollevare una spada neanche con due mani. In quel momento gli uomini avevano riso della sua incapacità di brandire una spada e come insulto uno di essi le aveva lanciato un bastone.

“Vediamo se magari sei capace di sollevare questo bastoncino!” le aveva gridato, e tutti gli altri avevano riso. Kyra non aveva mai dimenticato la vergogna di quel momento.

All’inizio gli uomini di suo padre avevano visto il suo bastone come uno scherzo; del resto loro lo usavano solo come arma da allenamento. Loro erano uomini coraggiosi che brandivano spade a doppia mano, asce ed alabarde, uomini che potevano tagliare un albero con un solo colpo. Guardavano il suo bastone come un giocattolo e questo le aveva guadagnato ancora meno rispetto di quanto già non avesse.

Ma lei aveva trasformato uno scherzo in un’inaspettata arma di vendetta, un’arma da temere. Un’arma contro la quale ora neppure gli uomini di suo padre sapevano difendersi. Kyra era rimasta sorpresa dalla sua leggerezza, e ancora più sorpresa di scoprire che era naturalmente piuttosto brava nel maneggiarlo, tanto veloce da colpire mentre i soldati ancora stavano sollevando le spade. Più di un uomo contro cui aveva combattuto era rimasto ricoperto di lividi: un colpo alla volta si era costruita la strada verso il rispetto.

Nel corso di interminabili notti di allenamento da sola, Kyra aveva imparato a padroneggiare mosse che stupivano gli uomini, mosse che nessuno di loro neppure capiva. Si erano fatti sempre più interessati al suo bastone e lei aveva insegnato loro come usarlo. Nella mente di Kyra il suo arco e il suo bastone si completavano a vicenda e le erano egualmente necessari: l’arco per il combattimento a lunga distanza e il bastone per quello ravvicinato.

Kyra aveva anche scoperto di avere un innato dono che mancava a quegli uomini: era agile. Era come un pesciolino in un mare di squali che si muovevano lentamente, e mentre quegli uomini adulti avevano grande forza, Kyra poteva danzare attorno a loro, poteva balzare in aria, poteva saltarli e atterrare rotolando, o in piedi. E quando la sua agilitГ  si incontrava con il suo bastone e la sua tecnica, la combinazione era letale.

“Cosa ci fa lei qui?” chiese una voce burbera.

Kyra, a lato dei campi di allenamento accanto ad Anvin e Vidar, udì l’avvicinarsi dei cavalli e si voltò per vedere Maltren affiancato da una manciata di amici soldati, ancora con il fiatone mentre teneva la spada, fresco di allenamento. La guardò con disdegno e lo stomaco le si serrò. Di tutti gli uomini di suo padre, Maltren era l’unico che non la apprezzava. Per qualche motivo l’aveva odiata dal primo momento che l’aveva vista.

Maltren era in sella al suo cavallo ed era furente: con il suo naso piatto e la sua brutta faccia era un uomo che amava odiare e sembrava aver trovato in Kyra il suo bersaglio. Si era sempre opposto alla sua presenza lì, probabilmente perché era una ragazza.

“Dovresti essere al forte di tuo padre,” le disse, “ad occuparti dei preparativi per la festa con tutte le altre giovani e ignoranti ragazze.”

Leo, accanto a Kyra, ringhiГІ contro Maltren e lei gli mise una mano rassicurante sulla testa, trattenendolo.

“E poi perché quel lupo viene lasciato entrare nel nostro campo?” aggiunse Maltren.

Anvin e Vidar lanciarono a Maltren un’occhiata seria e fredda, tirando Kyra da parte. Ma lei rimase ferma al suo posto e gli sorrise, sapendo di avere la loro protezione e che lui non poteva costringerla ad andarsene.

“Forse dovresti tornare ad allenarti,” ribatté lei con voce derisoria, “e non preoccuparti del via vai di giovani e ignoranti ragazze.”

Maltren arrossì, incapace di rispondere. Si voltò, pronto ad andarsene, ma non senza averle lanciato un’ultima frecciatina.

“Usiamo le lance oggi,” le disse. “Faresti meglio a stare alla larga dagli uomini veri che lanciano vere armi.”

Si voltò e se ne andò con gli altri. Kyra lo guardò andare: la sua gioia di essere lì era ora smussata dalla sua presenza.

Anvin le lanciò un’occhiata consolatoria e le pose una mano sulla spalla.

“La prima lezione di un guerriero,” le disse, “è di imparare a convivere con quelli che ti odiano. Che ti piaccia o no, ti ritroverai a combattere fianco a fianco con loro, la tua vita dipenderà da loro. Molto spesso i tuoi peggiori nemici non vengono da fuori, ma da dentro.”

“E quelli che non sanno combattere hanno la lingua lunga,” disse una voce.

Kyra si voltГІ e vide Arthfael che si avvicinava, sorridendo, giungendo velocemente al suo fianco come sempre. Come Anvin e Vidar, Arthfael, un nobile e fiero guerriero con la testa calva e una lunga e folta barba nera, aveva un debole per lei. Era uno dei migliori con la spada, veniva raramente battuto e stava sempre dalla sua parte. Fu confortata dalla sua presenza.

“Sono solo parole,” aggiunse Arthfael. “Se Maltren fosse un guerriero migliore, si preoccuperebbe di più di se stesso che degli altri.”

Anvin, Vidar e Arthfael montarono a cavallo e partirono insieme agli altri. Kyra rimase a guardarli, pensando. PerchГ© alcune persone odiavano? si chiedeva. Non sapeva se avrebbe mai capito.

Mentre attraversavano il campo, percorrendo ampi cerchi, Kyra osservГІ con ammirazione i grossi cavalli da guerra, bramando il giorno in cui avrebbe potuto averne uno tutto per sГ©. GuardГІ gli uomini che facevano il giro del campo, galoppando lungo il muro di cinta con i cavalli che talvolta scivolavano nella neve. Gli uomini afferrarono delle lance che i loro scudieri gli porgevano e finendo il giro le lanciarono contro distanti bersagli: scudi che pendevano da dei rami. Quando colpivano si levava il caratteristico clangore del metallo.

Lanciare mentre si stava a cavallo era piГ№ difficile di quanto sembrasse, a quanto poteva vedere, e piГ№ di uno mancГІ il bersaglio, soprattutto quando cercavano di colpire gli scudi piГ№ piccoli. Di quelli che andarono a segno, pochi colpirono al centro, eccetto Anvin, Vidar, Arthfael e pochi altri. NotГІ che Maltren andГІ a vuoto diverse volte, imprecando e lanciandole delle occhiatacce, come se la colpa fosse sua.

Kyra, volendo scaldarsi, tirò fuori il suo bastone e iniziò a farlo girare e ruotare tra le mani, sopra la testa, da ogni parte attorno a sé, come fosse una cosa viva. Affrontava un avversario immaginario, bloccava colpi immaginari passando di mano in mano, al di sopra del collo, attorno alla vita: il bastone era come un terzo braccio per lei e il legno era consumato dall’uso.

Mentre gli uomini stavano attorno al campo, Kyra corse verso la sua piccola area, una piccola sezione del campo da allenamento che gli altri non consideravano ma che lei amava per sé. Piccoli pezzi di armatura penzolavano da delle funi in un gruppo d’alberi, sparpagliate tutte a diverse altezze, e Kyra vi corse attraverso e, fingendo che ogni bersaglio fosse un avversario, li colpiva tutti con il bastone. L’aria si riempì del rumore metallico dei colpi mentre lei correva tra gli alberi, tirando fendenti, ondeggiando e abbassandosi mentre i pezzi oscillavano verso di lei. Nella sua mente attaccava e si difendeva gloriosamente, conquistando un esercito di nemici immaginari.

“Hai mai ucciso qualcuno?” chiese una voce dal tono derisorio.

Kyra si voltГІ e vide Maltren che le si avvicinava a cavallo ridendo di gusto guardandola, per poi passare oltre. Kyra avvampГІ, desiderando che qualcuno lo rimproverasse chiudendogli la bocca.

Kyra fece una pausa quando vide gli uomini, che avevano finito con le lance, smontare da cavallo e formare un cerchio al centro della radura. Gli scudieri si avvicinarono e porsero loro delle spade da allenamento fatte di spesso legno di quercia, che pesavano quasi quanto l’acciaio. Kyra si tenne da parte con il cuore che batteva forte mentre guardava quegli uomini confrontarsi l’uno con l’altro. Avrebbe voluto più di qualsiasi altra cosa unirsi a loro.

Prima che cominciassero, Anvin si portГІ al centro e si rivolse a tutti quanti.

“In questo giorno di festa, ci battiamo per uno speciale bottino,” annunciò. “Al vincitore andrà la porzione di maggiore qualità della festa!”

Seguì un grido di eccitazione e gli uomini si lanciarono l’uno contro l’altro e i colpi delle loro spade riempirono l’aira mentre tutti andavano avanti e indietro.

I combattimenti erano inframezzati dal suono di un corno che si sentiva ogni volta che un combattente veniva colpito e doveva quindi portarsi di lato. Il corno suonava frequentemente e presto i ranghi iniziarono a ridursi: la maggior parte degli uomini ora si trovava di lato a guardare.

Kyra stava di lato con loro, ardendo dal desiderio di battersi, benchГ© non le fosse permesso. Ma quel giorno era il suo compleanno, aveva quindici anni adesso e si sentiva pronta. Sentiva che era giunto il momento di insistere sul caso.

“Lasciami andare con loro,” implorò Anvin che le stava vicino a guardare.

Anvin scosse la testa senza mai togliere gli occhi dall’azione.

“Oggi compio quindici anni!” insistette. “Permettimi di combattere!”

Lui la guardГІ scettico.

“Questo è un campo d’addestramento per uomini,” si intromise Maltren che si trovava di lato dopo aver perso un confronto. “Non per ragazzine. Puoi startene qui a guardare con gli altri scudieri e portarci dell’acqua se te la chiediamo.”

Kyra avvampГІ.

“Hai così tanta paura che una ragazza possa batterti?” ribatté rimanendo ferma sulla sua posizione, sentendo un’ondata di rabbia dentro di sé. Era la figlia di suo padre e nessuno poteva parlarle in questo modo.

Alcuni degli uomini ridacchiarono e questa volta fu Maltren ad arrossire.

“Ha ragione,” disse Vidar intromettendosi. “Forse dovremmo lasciarla combattere. Cos’abbiamo da perdere?”

“Combattere con cosa?” ribatté Maltren.

“Con il mio bastone!” gridò Kyra. “Contro le vostre spade di legno.”

Maltren rise.

“Sarebbe proprio da vedere,” disse.

Tutti gli occhi si voltarono verso Anvin che era fermo lì, dibattuto.

“Se ti fai male tuo padre mi ammazza,” le disse.

“Non mi farò male!” lo implorò.

Rimase fermo per un tempo che sembrГІ infinito. Infine sospirГІ.

“Non ci vedo niente di male,” disse. “Se non altro starai zitta. Sempre che questi uomini non abbiano niente da obiettare,” aggiunse voltandosi verso i soldati.

“SISSIGNORE!” risposero una decina di uomini di suo padre tutti insieme, tutti entusiasti facendo il tifo per lei. Kyra li amava per questo più di quanto potesse dire. Vedeva l’ammirazione che avevano per lei, lo stesso affetto che serbavano per suo padre. Non aveva molti amici e quegli uomini significavano tutto per lei.

Maltren la sbeffeggiГІ.

“Lasciamo che la ragazza faccia la sua figuraccia,” disse. “Potrebbe servirle da lezione una volta per tutte.”

SuonГІ un corno e un altro uomo lasciГІ il cerchio, quindi Kyra entrГІ.

Si sentiva addosso gli occhi di tutti mentre gli uomini la guardavano, chiaramente non aspettandosi una cosa del genere. Si trovò di fronte il suo avversario, un uomo alto e dalla corporatura tozza, sulla trentina; un guerriero potente che conosceva da quando stava alla corte di suo padre. Solo a guardarlo si capiva che era un bravo combattente, ma anche troppo sicuro di sé, uno che si lanciava sempre davanti a tutti, un po’ avventato.

Si voltò verso Anvin lanciandogli un’occhiataccia.

“Che insulto è questo?” chiese. “Non ho intenzione di combattere contro una ragazza.”

“Insulti te stesso se hai paura di combattere contro di me,” rispose Kyra indignata. “Ho due mani e due gambe, proprio come te. Se non ti batti con me, allora dichiarati sconfitto!”

L’uomo sbatté le palpebre, poi si accigliò.

“Molto bene allora,” disse. “Non correre da tuo padre dopo che avrai perso.”

Si lanciò a tutta velocità e Kyra che capì subito che, alzando la spada di legno in alto e scendendo direttamente, avrebbe mirato alla sua spalla. Era una mossa che poteva anticipare, una che aveva visto compiere molte volte, chiaramente evidenziata dal movimento del suo braccio. La spada di legno era forte, ma anche pesante e goffa contro il suo bastone.

Kyra lo osservò attentamente, attese fino all’ultimo momento, poi si fece di lato, lasciando che il potente colpo le scendesse accanto. Con lo stesso movimento fece roteare il bastone e lo colpì alla spalla, di lato.

L’uomo sbuffò e inciampò di lato. Rimase fermo, sorpreso e scocciato per dover ammettere la sconfitta.

“Nessun altro?” chiese Kyra sorridendo e voltandosi a guardare il cerchio di uomini.

La maggior parte di essi sorrideva, chiaramente orgogliosi di lei, fieri di guardarla crescere e arrivare a quel punto. Eccetto ovviamente Maltren che si fece torvo in viso. Sembrava sul punto di sfidarla quando improvvisamente apparve un altro soldato che la affrontò con espressione seria. Era più basso e più robusto, con un’incolta barba rossa e occhi feroci. Dal modo in cui teneva la sua spada Kyra poteva capire che era più cauto dell’avversario precedente. Lo prese come un complimento: finalmente iniziavano a prenderla sul serio.

L’uomo si lanciò all’attacco e Kyra non capì perché, ma per qualche motivo le veniva facile sapere cosa fare. Era come se il suo istinto la spronasse e decidesse per lei. Si ritrovò ad essere molto più leggera e agile di quegli uomini che invece erano appesantiti dalle loro spesse armature e dalle loro spade di legno. Lottavano usando la forza e si aspettavano che i loro avversari li sfidassero e bloccassero. Kyra invece era ben felice di schivare i colpi e rifiutava di combattere secondo i loro termini. Loro combattevano con la forza, lei invece con la velocità.

Il bastone di Kyra si muoveva tra le sue mani come una sua estensione: lo faceva roteare così velocemente che i suoi avversari non avevano il tempo di reagire ed erano ancora a metà dell’azione quando lei già si trovava alle loro spalle. Il suo nuovo avversario si lanciò contro di lei diretto verso il suo petto, ma lei si limitò farsi da parte e fece roteare il bastone colpendogli il polso e facendogli cadere la spada di mano. Poi lo fece ruotare e con l’altra estremità gli diede un colpo in testa.

Suonò il corno dandole un’altra vittoria e lui la guardò scioccato tenendosi una mano sulla fronte, la spada a terra. Kyra, esaminando ciò che aveva fatto, si rese conto di essere ancora in piedi e si sentì lei stessa un poco stupita.

Era diventata la persona da battere era gli uomini, non piГ№ esitanti, si allinearono per mettere alla prova le loro abilitГ  contro di lei.

La tempesta di neve infuriava mentre le torce venivano accese per illuminare il crepuscolo e Kyra combatteva contro un uomo dopo l’altro. Non sorridevano più: le loro espressioni erano ora tremendamente serie, perplesse, poi completamente irritate, dato che nessuno riusciva a toccarla e tutti finivano per essere battuti da lei. Contro un uomo lei balzò sopra la sua testa mentre la attaccava, ruotando e atterrando dietro di lui prima di colpirgli la spalla; per un altro si abbassò e rotolò, passò il bastone da una mano all’altra e diede il colpo decisivo inaspettatamente con la mano sinistra. Per ciascuno aveva mosse diverse, parte acrobata, parte schermidore: nessuno era in grado di anticiparla. Gli uomini si portavano vergognosi ai lati, tutti stupiti di dover ammettere la sconfitta.




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